Giorgio Bassani, il suo “scrivere con le visceri e con la testa”
Bianca Fasano
Anni fa, giornalista corrispondente del “Mattino”, con “alle spalle” un solo libro pubblicato ed un “Terra al sole” che mi preparavo a stampare, in una calda estate cercavo materiale per un “pezzo” di interesse culturale, quando appresi che era “ospite” di Ascea, (cittadina del Cilento che conserva il patrimonio Greco-Romano della Elea di Parmenide), lo scrittore Giorgio Bassani, giunto a presiedere un concorso internazionale di letteratura. Chiesi telefonicamente un appuntamento per intervistarlo e lui me lo concesse, a patto che scrivessi ciò che registravo e registrassi ciò che mi concedeva di stampare. Raggiunsi l’Autore ad un tavolino dell’albergo, posto sotto gli alberi di ulivo ed egli si alzò in piedi venendomi incontro, smettendo per questo di accarezzare un felino asceota che tuttavia continuò a strofinarsi contro le sue gambe. Bassani era un uomo sulla sessantina, dai capelli bianchissimi e gli occhi di un azzurro incredibile. Parlava con tono perentorio ed al di sotto di ogni gesto si intuiva in lui una grande forza di volontà. Il primo approccio fu un tantino duro, visto che egli mi impose categoricamente dove sedermi e precisò una volta in più che avrebbe voluto rileggere l’intervista, ma poi firmammo un definitivo armistizio ed io lo valutai per un uomo solo, che doveva avere molto sofferto e molto vissuto. Prima d’ogni altra cosa gli chiesi, per mio interesse personale, quale fosse per lui il suggerimento essenziale da offrire a qualcuno che intendesse divenire scrittore. Mi osservò in silenzio pochi secondi e quindi rispose coi gesti e con le parole:-” Occorre scrivere prima con le visceri e poi con la testa…”- E nel dir questo si premette le mani sull’addome e poi le passò alla fronte. Tacque e riprese poi spiegandomi più dettagliatamente che un vero artista deve parlare di cose che ha vissuto e sofferto sulla propria pelle, per cui nei suoi scritti si dovrà sentire una realtà visceralmente sentita, ma poi deve anche essere capace di rivisitarla razionalmente, di equilibrarla, limarla, renderla comprensibile agli altri e quindi di usare per questo il cervello. Parlando dei suoi scritti mi precisò che lui non scriveva “romanzi”, ma che l’intera opera letteraria doveva essere considerata come una sola da chiamarsi appunto “il romanzo di Ferrara”. Al momento non l’intesi chiaramente, ma mesi dopo, in viaggio, acquistai di Bassani “Gli occhiali d’oro” e “L’Airone” e li lessi nelle soste in albergo, collegandoli quindi a quel già letto “Giardino dei Finzi-Contini” e mi parve davvero di comprenderlo di più. Tornando al giorno dell’intervista, affascinata e nel contempo sottilmente mantenuta a distanza da quell’uomo che non voleva dire o dare troppo di sé, mi sembra giusto riportarla in parte, fermo restando l’esattezza delle domande e delle risposte così come egli la firmò, poiché la reputo attuale:-
D)- “ A suo parere che possibilità di inserimento nell’ambito letterario, e più specificatamente in quello editoriale, possono sperare di ottenere le “nuove leve” della letteratura? Parlo naturalmente di coloro che non vantano amici o parenti “illustri”…
R):-” Ho sempre considerato la letteratura un fatto spirituale e non a carattere industriale, di conseguenza i libri di qualità saranno sempre pochi. Ciononostante sono convinto che un buon scrittore, un poeta vero, troverà sempre la sua strada. Il mondo letterario non è direttamente collegato a quello della editoria che si deve considerare come una industria, ma benché l’editoria, in quanto industria, sia spinta verso la produzione in serie, i veri artisti troveranno sempre un mezzo per venire alla luce e trovare pubblicazione. L’editoria qual è adesso va considerata come una risposta volenterosa alla civiltà industriale ed è conseguente il rischio che ciò che essa produce sia legato alla “moda” del momento”-
D):-” Sostiene quindi che un vero scrittore-artista troverà un suo spazio vitale come è accaduto per Tommasi di Lampedusa, il cui romanzo “Il Gattopardo” ha trovato in lei un valido paladino?”-
R):- “All’epoca feci stampare “Il Gattopardo” contro la volontà di tutti ed ebbe successo. Accadrà anche per altri validi artisti, in ogni epoca, poiché parliamo di fatti spirituali e io credo nella realtà dello spirito. La civiltà industriale invece non ci crede o ci crede poco, ma è logico che sia così. La si deve considerare come “un male necessario” perché ha riscattato tanta povera gente che viveva al margine della società ed oggi è considerata uguale agli altri. L’eguaglianza è importante purché si salvi anche la libertà. Lo sforzo che deve compiere la civiltà industriale e con essa noi che ci viviamo dentro è quello di creare una società di uguali e di liberi. Sono convinto che la civiltà industriale debba crearsi una “religione”, facendo qualcosa che contrasti con la legge matematica del puro profitto.”-
D):-” E’ da questi presupposti che è nata “Italia nostra”?”-
R):-”Direi di si. Mi occupo di “Italia Nostra” da oltre 40 anni, per più di 15 ne sono stato il Presidente Nazionale e adesso occupo la carica di Presidente Nazionale Onorario”-
D):-” Dal suo modo di vivere e di scrivere appare chiaro il suo amore per l’intelligenza e la cultura e di conseguenza per la “personalità” che nasce da questo binomio. Lei non pensa che una tale personalità possa uscire sconfitta dalle necessità contingenti dell’editoria?”-
R):-” Amo gli artisti veri. Sono necessario io, che sostengo il diritto di un Tommasi di Lampedusa a pubblicare, ed è necessaria quella società industriale che consente a lui e ad altri come lui di vedere l’opera letteraria stampata e diffusa tra le cosiddette “masse”.”-
D);-” Come spiega il fatto che la società attraversi (oggi ne sta lentamente venendo fuori. N.d.A.) un “minimo storico”, per quanto riguarda la lettura di opere illustri, in contrasto con una editoria che offre testi svariati e vesti editoriali esteticamente inappuntabili?”-
R):-” Nel passato si leggeva poco, forse meno di oggi. Quando io ero un ragazzo leggevano soltanto le persone colte, appartenenti alla “buona borghesia” ed alla aristocrazia. I “bei libri” di quell’epoca “tiravano” 1000, 2000 copie…”-
Ricordo che l’intervista proseguì valutando le “mutazioni” a cui andavano soggetti i romanzi per divenire sceneggiature di film, ed in particolare proprio in relazione a quel suo “Il giardino dei Finzi-Contini”, che anni prima era divenuto film di successo. Bassani sostenne che, per raggiungere appunto il successo di pubblico, un romanzo doveva necessariamente subire dei grossi mutamenti, in base alle capacità del regista che lo faceva “suo”. Partito che fu, gli scrissi più volte, ma non rispose, con mio disappunto. Lo rividi però anni dopo, a seguito sempre di un appuntamento, a Roma, nella sede di Italia Nostra e mi ricevette più calorosamente, lasciandomi perfino con un bacio sulle guance. Non l’ho più rivisto, ma neanche dimenticato e continuo ad adorarlo come scrittore, benché neanche in seguito a quell’incontro ritenne mai di rispondere alle mie lettere. Conservo di lui la registrazione dell’intervista che mi rilasciò e quella di una sua poesia dedicata alla “Porta Rosa” di Elea – Velia. Nella lirica egli descrive sensazioni ed emozioni provate durante una passeggiata effettuata a Velia assieme all’archeologo Mario Napoli, (a cui si deve appunto la scoperta della porta, prezioso tassello collegato alla poetica di Parmenide), ed inoltre alla ammirata e intelligente descrizione fisica della turista straniera alta, bionda e possente, così diversa dallo stereotipo di greco- eleate che il suo animo di artista gli permetteva di immaginare presente sulla irta strada che conduce ancora oggi alla “Porta arcaica”, che lo aveva appunto accompagnato nella passeggiata sulla strada di Parmenide e Zenone; ascolto di tanto in tanto la voce di Bassani che risuona, nitida, vibrante di toni e semitoni nella declamazione lenta e cosciente della sua creazione ed ancora mi regala emozioni…