San Michele, Angelo della preghiera
don Marcello Stanzione
La preghiera è la grande legge dell’umanità, si può anche dire ch’essa è la legge degli esseri.
Ma evidentemente la vera preghiera non si trova che sulle labbra dell’uomo. Lui solo, in mezzo alle creature terrene, guarda il cielo; lui solo anima la natura con la preghiera e l’amore, egli è la voce che loda, l’intelligenza che conosce, il cuore che ama; lui solo, se è una persona intelligente e buona, davanti al suo Creatore tende le braccia, piega il ginocchio, curva la fronte.
Se la preghiera è l’omaggio della creatura al suo Dio, essa è soprattutto la confessione della propria indigenza. Si direbbe che il braccio dell’uomo non è abbastanza lungo per cogliere l’oggetto che desidera. Occorre che Dio intervenga per aiutarlo, sostenerlo, illuminarlo, fortificarlo. Ora per chiamare Dio, per avvicinarlo all’uomo, la preghiera è indispensabile. Essa è il primo bisogno dell’uomo. Un grande storico delle religioni osserva: “Secondo talune pagine del Talmud che enumerano i sette cieli, Michele è collocato nel quarto, il cielo Zebul è il cielo in cui si trova Gerusalemme, il Tempio è un altare dove per l’appunto officia il grande principe. Proprio questa corrispondenza tra Tempio celeste e Tempio terrestre avrebbe consentito, al momento della costruzione del secondo Tempio, di determinare la posizione esatta dell’altare”. (Heny CORBIN, Il Paradosso del monoteismo, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1986, p. 86). Nella liturgia della Chiesa si attribuisce a Michele anche la funzione di guida delle anime al cielo, riallacciandosi a una concezione già presente nel mondo ebraico. Fra tutti gli angeli, Michele era considerato la guida più eminente, tanto che nell’Offertorio della Messa dei Defunti, la Liturgia romana pregava così: “Signore Gesù Cristo, libera le anime dei fedeli defunti dalle pene dell’inferno; San Michele, che porta i tuoi santi segni, conduca le anime di tutti i fedeli defunti alla luce santa che promettesti ad Abramo e alla sua discendenza”. Viene comunemente identificato con Michele anche l’Arcangelo che, al suono della tromba, evocherà i morti nel giorno del Giudizio finale, secondo quando dice l’Apostolo Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi (4, 16): “ Il Signore stesso, al segnale dato dalla voce dell’Arcangelo, dalla tromba di Dio, discenderà dal cielo ed i morti che sono in Cristo risorgeranno per primi.”
La Sacra Scrittura definisce i nostri giorni in due parole: pochi e dolorosi, essi sono contati con parsimonia e sono pieni di amarezza. Si può per qualche tempo camminare in mezzo alle illusioni, come attraverso una via fiorita. Ma ben presto, con l’età, le illusioni svaniscono, e non rimane più che il disincanto. Allora si cercano delle consolazioni. Dove trovarle, a chi rivolgersi? In quale cuore versare il troppo pieno del proprio cuore? Il rimedio è da lungo tempo indicato. Chi è triste, dice san Giacomo, che preghi. Attraverso la preghiera noi versiamo nel cuore di Dio i nostri dolori ed i nostri desideri. Il risultato è infallibile. Lo abbiamo sperimentato mille volte. Abbiamo alzato gli occhi verso il cielo e teso verso Dio le nostre braccia appesantite dai fardelli della vita, e sinceramente abbiamo lanciato un appello pressante alla divina misericordia. Dopo aver così pregato, abbiamo sentito scendere in noi forza, luce, consolazione. Dio ci aveva sentiti, Dio ci aveva visitati; la preghiera non lo lascia insensibile. Obbiettivo principale di questo libro è quello di far entrare sempre più gli angeli e san Michele nella nostra preghiera, interessante è a tal riguardo l’esperienza di una scrittrice americana: “Negli ultimi venticinque anni ho incontrato soltanto due cattolici che hanno ammesso di pregare in privato San Michele al di fuori della liturgia, come faccio io. Una volta mi sono trovata ad un bivio. Mi sembrava che non vi fosse modo di risolvere adeguatamente un problema serio. Qualsiasi decisione si sarebbe dimostrata inevitabilmente pregiudizievole. Stavo pregando lo Spirito Santo di guidarmi, quando mi accorsi che stavo dicendo senza riflettere: “San Michele, va a combattere per me! Ho bisogno di te!”. Cosa breve e spontanea, ma credo davvero che egli fosse abituato a disperdere i demoni della indecisione e della confusione. Il giorno successivo si presentò una soluzione del tutto inaspettata, insieme a un profondo senso della pace che viene da Gesù”. (Mary DRAHOS, Gli Angeli di Dio nostri cari custodi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, p. 141). Grazioso è l’episodio avvenuto in un monastero di clausura della Svizzera: “(Nel monastero Carmelo San Giuseppe a Locarno-Monti) Un giorno, durante i lavori estivi di ripulitura del parco, le novizie scoprirono con gioia una piccola grotta naturale ai piedi di un tasso. Si decise subito di adibirla a santuario dell’Arcangelo Michele, adattandola approssimativamente al modello della Sacra Spelonca del Gargano. Madre Maria Beatrice partecipò volentieri alla festa di inaugurazione del minuscolo santuario, confezionando corone angeliche per tutte le monache. Chiese poi ad una novizia, che più delle altre si era dedicata con tanto entusiasmo ai preparativi e agli abbellimenti della grotta: “Ma lo prega l’Arcangelo Michele?”. Questa domanda era per lei della massima importanza: toccava l’essenziale, il fine a cui doveva condurre tutta l’attività esteriore, solo un tramite dell’incontro con Dio ed i suoi angeli nella preghiera”. (Monastero Carmelo San Giuseppe, Locarno-Monti, Voglio servirti con Maria a Nazareth, Maria Beatrice del Sacro Cuore di Gesù (1901-1979), Editrice Ancilla, Conegliano (TV) 2006, p. 210).