Salerno: la Fiera di San Matteo
Maria Amendola
La Fiera di Salerno ha origini medievali, infatti fu istituita nel 1258 con un decreto regio di re Manfredi di Svevia (1232-1266, figlio di Federico II lo “Stupor Mondi” 1194-1250), grazie all’intuizione del lungimirante salernitano Giovanni da Procida (1210-1298) che fu un Magister della Scuola Medica Salernitana, uomo diplomatico oltre che consigliere e cancelliere di Manfredi di Svevia. Le antiche “fiere” erano istituite grazie ad un privilegio commerciale imperiale (privilegium mercaturae imperiale). La parola “fiera” deriva dal greco “ἐμπόριον” e dal latino “emporium” ed indica un “luogo di mercatura, mercato, luogo di vendita di bestiame o di altro genere, che si svolgeva in coincidenza di una ricorrenza religiosa”. La Fiera di Salerno era in onore di San Matteo, infatti poi fu chiamata “Fiera di San Matteo”, era divisa in due momenti ognuna aveva una durata di 8 giorni: la prima parte si svolgeva il 4 maggio a ricordo della Traslazione delle reliquie del Santo avvenuta nel 1085, mentre la seconda parte si svolgeva proprio nel giorno della festa del Santo quindi dal 21 settembre. La Fiera con il tempo divenne una delle più importanti fiere del Meridione e attirando mercanti da ogni dove (Catalani, Arabi, Fiamminghi, Fiorentini, Genovesi Veneziani, Anseatici e Marsigliesi). Con il tempo dall’oriente arrivarono prodotti esotici, man mano sempre più richiesti. Anche gli ebrei si impegnavano in attività monetarie. La Fiera che si svolgeva nella zona ovest delle mura, l’attuale zona del Carmine, esattamente dove sorgeva una Chiesa denominata San Lorenzo dove si trova l’attuale piazza San Francesco. In fatti i mercanti si concentravano nelle piazze di San Lorenzo e Tarcinale per poi estendersi sempre più giù verso il mare quindi verso Portanova per via della comodità dello sbarco e del deposito delle merci. Piazza Portanova e piazza Flavio Gioia originalmente era un unico luogo e su di esso si estendeva la Fiera di San Matteo. I commercianti di Salerno nei giorni di festa dovevano commerciare solo ed esclusivamente presso la zona Fiera, chiudendo le loro botteghe in città. I numero di visitatori e commercianti cresceva a dismisura in quei giorni, tanto che alcuni cittadini ben pensarono di trarre profitto dalla situazione trovando il modo di affittare le loro case alle genti in pellegrinaggio, ai marinai, ai contadini, ad artigiani, ai visitatori, ai commercianti, o le impegnavano come deposito per le merci.
La Fiera era gestita dal Maestro di Fiera. La carica del Mastro di festa si tramandava da padre in figlio (veniva ereditata dal primo figlio maschio) divenendo di prerogativa della famigli Ruggi.
Da un estratto “La Fiera di Salerno” di Andrea Sinno:
“Durante il periodo, in cui si celebrava la fiera, la persona che concentrava in se i pieni poteri civili e giudiziari
era il Mastro di fiera. In Salerno il privilegio di Mastro di fiera appartenne per vari secoli alla famiglia Ruggi d’Aragona, e di questa il primo ad esserne beneficiato dalla sovrana benevolenza fu Petruccio, figlio del Conte di Albanella. Siffatta elargizione, trasmissibile agli eredi primogeniti, fu concessa da Carlo III di Durazzo in premio della devota fedeltà dimostrata da questa nobilissima famiglia. I Sovrani successivi, non solo confermarono i precedenti benefici, ma ne aggiunsero anche altri, aumentando sempre più il prestigio e l’autorità di essa. Vediamo ora quali erano le attribuzioni del Mastro di fiera. Esse si possono così riassumere:
1 .) Diritto di tener corte nei giorni di fiera e giudicare su questioni civili e penali, che ordinariamente erano di competenza della Corte della Bagliva;
2.) Controllo su tutti i commercianti e negozianti, che si trovavano nel territorio della fiera, nella città e nei villaggi, avendo questi l ’obbligo di portare le loro mercanzie nella fiera;
3.) Diritto di possedere una guardia armata per l’esazione dei suoi proventi, per la custodia della sua personae il disimpegno delle funzioni di polizia nel territorio della fiera, nella città e nei villaggi.
Il trapasso di siffatti poteri dalle persone che legalmente ne erano investite in tempi normali, cioè dal Governo cittadino e dallo Straticò, al Mastro di fiera avveniva nel giorno della apertura del grande mercato, quando nel maggior tempio della città si svolgevano funzioni di ringraziamento all’Apostolo.
Nel Duomo, gremito di popolo festante, di tutte le più spiccate personalità cittadine, di tutti i governanti, faceva il suo ingresso il Mastro di fiera, scortato da dieci uomini armati di spada, di pugnali e di alabarda, e andava a occupare il posto che di diritto spettava allo Straticò, il rappresentante naturale della giustizia. Alla funzione sacra seguiva l’inaugurazione della fiera. Nel XVI I secolo negozianti e Mastro di fiera si trovarono a Portanova. Dalla sua grandiosa sede il Mastro di fiera estendeva il dominio anche nella città, poiché solo alla sua guardia armata era consentito controllare le aziende dei commercianti e vigilare se avessero chiuso i negozi, essendo a questi fatto obbligo di portare le loro mercanzie nel territorio della fiera. A quelli che si esimevano da tale obbligo era applicata una multa, che andava a beneficio del Mastro di fiera. L ’entità della multa era varia, in ragione dell’esercizio che si gestiva o del commercio che si esercitava. Quelli che avevano botteghe di mercanzie erano tenuti al pagamento di un carlino e, in proporzione varia, gli altri esercenti un pubblico negozio”.
Altra intuizione di Giovanni da Procida fu la costruzione di un nuovo molo così da ampliare il preesistente molo longobardo affinché esso diventasse lo scalo principale dell’Italia meridionale. La costruzione del nuovo molo avvenne nel 1260, e fu denominato “molo Manfredi”. Vi fu posta una lapide fondativa ad imperitura memoria:
“A.D. MCCLX Dominus Manfredus magnificus Rex Siciliae, DominiImperatoris Friderici filius, cum interventu Domini Johannis de Procida, magni civis Salernitani, Domini Insulae Procidae e Tramontis, Cajani et Baronie Pistilionis ac ipsius Domini sotii et familiaris, hunc portum fieri fecit” (anno del Signore 1260, Manfredi, Signore magnifico Re di Sicilia, figlio dell’ imperatore Federico, per intervento di messer Giovanni da Procida, grande cittadino Salernitano, Signore dell’Isola di Procida, di Tramonti, di Caiano e della Baronia di Postiglione, e amico e familiare dello stesso Re, fece costruire questo Porto”.
Nel 1568 la lapide fondativa fu ritrovata tra i flutti e fu locata presso l’abside delle Crociate della Cattedrale Primaziale ovvero il Duomo di San Matteo di Salerno, dal 14 settembre 2018 una riproduzione del Maestro Raffaele Ronca è stata collocata presso il molo Manfredi (in foto).
Molti pellegrini in ottemperanza alle indicazioni cristiane che esigevano almeno un pellegrinaggio all’anno decidevano di andare alla Fiera anche per visitare le Sante reliquie di Matteo Evangelista. In virtù di questa grande affluenza Carlo II d’Angiò detto lo Zoppo (1254-1309) re di Napoli (1285-1309) e principe di Salerno dal 1271 con un decreto del 21 agosto del 1303 modificò la durata della Fiera, da 8 giorni fu estesa a 10. Dopo le scoperte delle nuove rotte marittime del 1492, il Mediterraneo perse la sua importanza e anche la Fiera di San Matteo si spopolò e fu più considerata la più grande del Mediterraneo, conservando però la sua lunga tradizione. Il centro del regno degli Angioini divenne Napoli e infatti vi trasferirono ogni risorsa.
Da un estratto “La Fiera di Salerno” di Andrea Sinno:
“Una cronaca del 1700 ci fa conoscere i nomi della più spiccata nobiltà, che partecipava alla fiera di Salerno, come le famiglie Gerace, Monteleone, Ottoboni, Malaspina, le quali, per rendere più lieto il soggiorno, preparavano feste e numeri di speciale attrattiva, che consistevano in corse al palio, nei sacchi, di cavalli, di asini, in cacce al toro, dando premi e donativi ai vincitori. Nel medesimo tempo era costume che, prima e durante la Fiera, si aprisse il pubblico teatro di S. Agostino, situato alle spalle dello stesso convento, dove avevano luogo rappresentazioni in prosa e in musica, con enorme concorso di spettatori e con loro grande diletto, costituendo per moltissimi di essi un avvenimento di eccezionale importanza. La località dove si svolgeva la fiera comprendeva l’ampia distesa di terreni, posti fuori le mura orientali della città, che, seguendo il corso del Rafastia, sull’una e sull’altra sponda, dalla piana di S. Lorenzo (oggi compresa tra
l’Orto Agrario e la chiesa del Carmine) scendeva giù al Pendino, per raggiungere il giardino del Convento di S. Benedetto, e poi attraverso il vecchio arsenale, conosciuto col nome di Tarcinaro, si arrestava a S. Pietro de Camerellis.Il nome stesso di questa Chiesa ricorda, infatti, le numerose casupole e baracche qui vi esistenti, che in tempo di fiera erano date in fitto ai negozianti, perché v i ponessero la loro mercanzia. Però le baracche adiacenti alle mura di Porta Nova furono costruite nel XVI secolo; precedentemente esistevano
solo quelle nella parte alta della città, che era il centro più notevole della fiera. Cioè nel territorio fuori di Porta Rotese, come quello che si trovava sul traffico dell’ antica Via Popilia , anteriormente al X V I secolo, arteria di primo ordine. Costruita poi la strada spagnuola di Cava, il traffico si spostò fra Porta della Catena è Porta Nova, e la fiera quindi si svolse innanzi a quest’ ultima Porta, in prolungamento della parte inferiore della Città”.
A inizio 700 della grandiosa Fiera ne rimaneva solo il ricordo, in quanto era in piena decadenza ormai.
Nel 1812 la Fiera fu soppressa da Gioacchino Murat (1767-1812), quando egli riorganizzò le province meridionali.
Curiosità:
- della Fiera ne scrisse lo storico e abate Giovan Battista Pacichelli (1641-1695) ne “Del Regno di Napoli” del 1703; vi ambienta una novella Giambattista Basile (1566-1632, firmatosi anche con lo pseudo anagrammatico di Gian Alesio Abbattutis) tra il 1634-1636 ne “Lo cunto de li cunti” o “Pentamerone”.