Salerno: a Sant’Apollonia, Arcoscenico in “Also Sprach Pettenessa”
Sabato 18 novembre alle 20,30 presso Sant’Apollonia Hub andrà in scena Also Sprach Pettenessa, spettacolo portato per la prima volta a Salerno da Arcoscenico di Antonella Quaranta e Rodolfo Fornario.
Più che una semplice messinscena, Also Sprach Pettenessa, il cui titolo prende ironicamente spunto da Also sprach Zarathustra di Nietzsche, è un rito teatrale condiviso, un incontro inatteso e originale con l’oscuro e ignoto epilogo dei nostri giorni, con quella che – nell’immaginario collettivo – assume le sembianze di una sinistra mietitrice, di una dark lady nel cui abbraccio cadremo all’improvviso, insomma con Madame La Mort, che interpreta da uno strepitoso Emilio Massa, accoglie il pubblico mortale agghindata con ipnotiche sciacquaglie, lucidissima bigiotteria di poco conto e strategiche e ricurve pettenesse, infilate con cura certosina nella voluminosa parrucca “baraccona” da zazzeruta nobildonna d’altri tempi. Un monologo scritto da Gennaro Ranieri che – come spiega lo stesso Emilio Massa al termine dello spettacolo – va in scena con immutato successo da quarant’anni, scritto dall’autore in soli tre giorni, all’indomani della scomparsa di Gennaro Vitiello, maestro dell’avanguardia teatrale degli anni Settanta/Ottanta, creatore e animatore del mitico Teatro Esse di Napoli, spazio nevralgico della scena off che tenne a battesimo artisti del calibro di Peppe Barra e Leopoldo Mastelloni. Also Sprach Pettennessa è un testo intenso e sarcastico che dà voce alla morte per esorcizzarne la paura e per scongiurare la tragicità, infatti, nella messa in scena di Massa la morte non si presenta attraverso la lugubre iconografia ricorrente, non è uno scheletro che brandisce la falce, non è un tristo figuro dai modi brutali e arroganti e non è neppure un pallido viandante avvolto in un saio nero che gioca a scacchi con le vittime predestinate. La morte, nell’interpretazione di Massa, è un personaggio moscatiano, una vecchia Cassandra dagli occhi bistrati che affonda le sue origini nell’ancestrale, poetica e sessualmente magmatica queerness partenopea, è un denso coagulo di saggezza e disperazione, cinismo e sensualità, è – in definitiva – un’esuberante e paradossale esibizione di vitalità che, proprio attraverso la sua esuberanza, ci mette in guardia circa la fugacità dell’esistenza e la necessità di godere appieno delle gioie e dei piaceri della vita, senza indugi e senza paure, e soprattutto senza piangere troppo dinanzi al mistero della morte che, proprio in quanto tale, non può essere penetrato e resterà ignoto fino alla fine, finché che non sarà giunta l’ora fatale.