La Voce e la Vita della Chiesa: ”Il santo medico Giuseppe Moscati“
Diac. Francesco Giglio
Campania Felix è l’antico nome dato alla Regione, che ha Napoli come capoluogo, e significa:” Campania felice o fortunata “. Felice forse perché è la patria della pizza, del bel canto, del sole, del mare e delle dolci note del mandolino. Fortunata sicuramente perché è forse la regione nella quale la fede e le tradizioni hanno le loro radici nell’abbondanza dei tanti Santi e Sante e della presenza delle reliquie di tre Apostoli:” S. Andrea ad Amalfi, S. Bartolomeo a Benevento e S. Matteo a Salerno ”. Da menzionare anche S. Gennaro a Napoli e la Madonna del Rosario a Pompei. Proprio a Napoli nell’Ottocento vi fu una fioritura di santità, tale da costituire una vera e propria “cordata di Santi” nati attorno alla figura di Santa Caterina Volpicelli, che svolgeva il suo servizio a favore dei piccoli e dei poveri della Napoli bisognosa di quel tempo. Intorno a lei e anche per merito suo e grazie alla sua amicizia, sviluppatasi in un contesto di comunione di fede e di preghiera, sono cresciuti in santità alcune forti personalità del cattolicesimo napoletano della fine dell’800. Tra questi sono da citare il francescano San Ludovico da Casoria, il santo medico Giuseppe Moscati, Il Beato Bartolo Longo, la contessa Marianna De Fusco, il Venerabile card. Sisto Riario Sforza e la Venerabile Maria Rosa Carafa. Tra quelli menzionati, per la sua particolarità, vi è il medico santo Giuseppe Moscati che ha dedicato la sua breve esistenza all’assistenza dei sofferenti , curandoli gratuitamente e aiutandoli anche economicamente. Questo medico santo è stato simbolo di equilibrio tra fede e scienza. Il suo spirito di servizio vale anche per noi. Dobbiamo passare dalle parole ai fatti. Dobbiamo capire bene quali sono le nostre debolezze, i nostri limiti, le nostre necessità per poi metterle tutte nelle mani di Dio, perché nessuno rinnovamento è possibile se non con la grazia di Dio. Solo con la grazia che lo Spirito ci dà possiamo cambiare, migliorare e crescere nella nostra universale chiamata alla santità. La famiglia Moscati proveniva da un piccolo paese della provincia di Avellino e precisamente Santa Lucia di Serino. In questo paese, nel 1836, nacque il padre Francesco che, laureato in Giurisprudenza, fu giudice al tribunale di Cassino, presidente del tribunale di Benevento, consigliere di Corte d’appello prima ad Ancona e poi a Napoli. A Cassino Francesco incontrò e sposò Rosa De Luca, dei Marchesi di Roseto. Dalla loro unione nacquero nove figli, di cui Giuseppe fu il settimo. Nel 1877 la famiglia si stabilì a Benevento, in seguito alla nomina del padre a Presidente del tribunale di quella città, e lì il 25 luglio 1880, nacque Giuseppe Maria Carlo Alfonso Moscati, che fu battezzato il 31 luglio dello stesso anno. Nel 1884 la famiglia Moscati si trasferì, dopo una sosta di circa tre anni ad Ancona e in seguito all’ennesima promozione di papà Francesco, alla Corte di Appello di Napoli. Fu in questa città che inizia la frequentazione con Bartolo Longo e Caterina Volpicelli. Nel 1892 in seguito al grave infortunio, dovuto ad una caduta da cavallo del fratello Alberto durante il servizio militare e dall’insorgere di violenti e frequenti attacchi di epilessia, Giuseppe cominciò la sua assistenza al fratello malato. Forse questa esperienza fece maturare nel giovane Giuseppe l’idea di iscriversi nel 1897, dopo gli studi liceali, alla Facoltà di Medicina. Laureatosi a pieni voti il 4 agosto 1903, a distanza di pochi mesi, inizia il suo percorso medico presso gli Ospedali Riuniti degli Incurabili. La morte del fratello Alberto, dovuta all’insorgere di complicanze , rafforza in Giuseppe la decisione di dedicarsi allo studio e alla ricerca scientifica per meglio curare quanti necessitavano di cure, assistenza e prevenzione. Moscati nella sua breve vita è stato medico, ricercatore e insegnante. Molti hanno scritto e descritto il suo luminoso e brillante cammino professionale, la sua dedizione allo studio e alla cura dei pazienti, specialmente di quelli più poveri ed indigenti. Per meglio comprendere le motivazioni di fondo di questa sua scelta, fa obbligo ritornare allo spirito di quella cordata dei Santi già menzionati. Il 25 novembre 1914 affetta da diabete, muore anche la madre e Giuseppe rimane nella casa paterna accudito dalla sorella Nina. Quella casa diventerà in seguito lo studio, l’infermeria e l’ospedale dei poveri di Napoli. Moscati fondò tutta la sua vita sulla dedizione verso i più deboli, impregnandola di fede e di carità. La testimonianza e i racconti dei suoi innumerevoli pazienti testimoniano la sua benevolenza. Per lui i pazienti erano delle anime divine, da amare come se stesso Ai suoi allievi soleva dire:” Negli ospedali la missione delle suore, dei medici, degli infermieri, è di collaborare a questa infinita misericordia, aiutando, perdonando, sacrificandosi”... “ Gli ammalati sono le figure di Gesù Cristo. Molti sciagurati, delinquenti, bestemmiatori, vengono a capitare in ospedale per disposizione della misericordia di Dio, che li vuole salvi “. Alla base del suo insegnamento vi era però questo pensiero :” Esercitiamoci quotidianamente nella carità. Dio è carità. Chi sta nella carità sta in Dio e Dio sta in lui. Non dimentichiamoci di fare ogni giorno, anzi in ogni momento, offerta delle nostre azioni a Dio compiendo tutto per amore “.
Il 12 aprile 1927, all’età di 46 anni e 8 mesi a causa di un infarto, si concludeva la giornata terrena del professore Giuseppe Moscati. Il 16 novembre 1930 i suoi resti mortali furono traslati dal Cimitero di Poggioreale alla chiesa del Gesù Nuovo. Il 16 novembre 1977 il papa S. Paolo VI lo proclamò Beato. Nel 16 novembre 1977 i suoi resti furono collocati sotto l’altare della Cappella della Visitazione, dove a tutt’oggi i napoletani si recano per chiedere la sua intercessione. A 10 anni di distanza il 25 ottobre 1987, San Giovanni Paolo II lo proclamò santo. Di lui ebbe a dire :” Per indole e vocazione il Moscati fu innanzitutto e soprattutto il medico che cura: il rispondere alle necessità degli uomini e alle loro sofferenze, fu per lui un bisogno imperioso e imprescindibile. Il dolore di chi è malato giungeva a lui come il grido di un fratello a cui un altro fratello, il medico, doveva accorrere con l’ardore dell’amore. Il movente della sua attività come medico non fu dunque il solo dovere professionale, ma la consapevolezza di essere stato posto da Dio nel mondo per operare secondo i suoi piani, per apportare quindi, con amore, il sollievo che la scienza medica offre nel lenire il dolore e ridare la salute ”. La Chiesa ha fissato la sua festa liturgica il 16 novembre. Di fatti prodigiosi e di miracoli il santo ne ha fatti molti e qui ricordiamo solo quelli che lo hanno innalzato agli onori degli altari e cioè: Costantino Nazzaro, Raffaele Perrotta e Giuseppe Montefusco. Quest’ultimo ancora in vita partecipò a Roma al rito della canonizzazione.
Anche se sono trascorsi molti anni dalla sua morte, sulla sua tomba sono ancora molti i napoletani che lo invocano. Il bene seminato sulla terra ancora oggi fruttifica e rende lode a Dio per il dono concessoci nell’avere avuto in mezzo a noi il riflesso dell’amore misericordioso del Padre celeste. Ancora oggi a quanti lo pregano continua a dire:” Ama la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala, e, se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio.” Sicuramente alla luce dell’operato di questo grande santo uomo e, nel rileggere quanto avvenuto per merito di quella cordata di Santi napoletani, abbiamo la consapevolezza che, oltre alla santità, questi possedessero anche il dono della profezia. A loro credo vada attribuito il merito di aver fatto nascere nella coscienza dei laici e nella Chiesa l’urgenza di essere accanto a quanti soffrono nel corpo e nello spirito. La loro opera ha dato inizio ad una vera e propria “Nuova Pastorale” suggerita dall’esempio e l’insegnamento evangelico di Gesù che “è passato beneficando, guarendo e salvando (cfr. Mc 5,21-43)”. Questi si sono sentiti chiamati in prima persona, a testimoniare l’amore per la sofferenza umana vivendo il valore dell’amore per il prossimo, l’umana solidarietà e la cristiana compassione. Si sono adoperati a mettere in pratica la “Parabola del buon Samaritano”, fermandosi accanto alla sofferenza di tutti quelli che hanno incontrato sul loro cammino. Hanno messo il loro cuore al servizio di chi soffriva, senza risparmiare perfino l’aiuto materiale. Sì, sono fatti “ prossimo ” perché si sono “ fermati e commossi “. Il loro incarnare l’operato di Cristo è servito a far originare una componente essenziale della cultura morale, dell’umanizzazione della sofferenza umana e la necessità della cura delle anime, con la predicazione della cura dei corpi mediante l’assistenza medica. Anche se i tempi di Dio possono sembrare lunghi, questa” profetica “ necessità si concretizza per volontà della Chiesa che è “Madre e Maestra”, nella sessione del Consiglio Episcopale Permanente del 23-26 settembre 1996, che istituisce: “L’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute”. Esso è:” la presenza e l’azione della Chiesa per portare aiuto e recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e a quanti se ne prendono cura. Non viene rivolta solo ai malati, ma anche ai sani, ispirando una cultura più sensibile alla sofferenza, all’emarginazione e ai valori della vita e della salute “. A 69 anni dalla morte e a 9 anni dalla canonizzazione di San Giuseppe Moscati l’alberello piantato da quella “cordata di Santi” ha prodotto i suoi benefici frutti. Dall’alto dei cieli questi continuano a pregare, curare, guarire e alleviare le sofferenze fisiche e spirituali.
Senza togliere nulla alla grandezza e alla santità dei tanti santi e sante che hanno fatto grande la Chiesa di Cristo in Campania è doveroso ricordare che Gesù continuamente ci dice:” Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa, infatti, è la Legge dei Profeti ”(cfr. Mt 7,12).