Verbi swahili: kuamini (credere, avere fede)
Padre Oliviero Ferro
In tutta onestà, quando sono arrivato in Africa e ho cominciato a lavorare nella parrocchia di Baraka, lungo il lago Tanganika (in Congo), mi sono chiesto molte volte a che punto era la mia fede, se potevo accontentarmi oppure seguendo l’esempio delle persone, anch’io dovevo mettermi di nuovo in cammino e sporcare i miei piedi insieme con loro? Giorno dopo giorno ho imparato a conoscerli, a sentire che nel loro cuore e nella loro vita c’era qualcosa di speciale. L’incontro con Gesù Cristo stava trasformando la loro vita. I quattro anni di catecumenato, in preparazione al battesimo, li aiutava a fare delle scelte. Non dovevano rinnegare la loro cultura, metterla insieme con la Parola e la vita di Gesù. Questo naturalmente creava dei problemi. Innanzitutto il coraggio di dire alla loro famiglia che aveva incontrato Qualcuno di speciale, che li aveva affascinati e per il quale erano disposti a entrare in una nuova tribù, senza rinnegare quella in cui erano nati. Anzi, rendeva più belle, più vere le loro tradizioni.
Il contatto con Lui e con altri che venivano da altri tribù donava loro qualcosa di speciale. Si sentivano parte di una grande famiglia, dove Gesù era il punto di incontro che li rendeva felici. Certo non era facile fare questa scelta. Molte volte rischiavano di essere emarginati, di dover combattere contro il modo di ragionare del villaggio. Ho visto, che mese dopo mese la loro gioia cresceva e nello stesso momento anche il loro impegno nella comunità, il condividere con altri questa scoperta continua, il partecipare alle celebrazioni, l’esercitare l’accoglienza e la carità verso lgi altri, il sentirsi parte di qualcosa di grande, il pregare e il leggere la Parola di Dio ogni giorno: tutto ciò li faceva crescere come persone e come cristiani. Vivevano nel villaggio, ma si vedeva che c’era in loro qualcosa di speciale. E questo lo sentivi, in particolare, la Domenica, quando con gioia partecipavano alla messa. E contagiavano noi che venivamo da un altro paese e da un’altra cultura. Non c’era più barriere, ma un’unica grande famiglia. I ricordi sono tanti e li custodisco tutti nel cuore e, appena è possibile, li condivido con altri per far capire loro che se anche questi fratelli e sorelle hanno scoperto Gesù dopo di noi, il loro modo di vivere è uno stimolo e un incoraggiamento anche per noi, è un invito a non smettere mai di camminare e di sognare un mondo migliore.