Camilla Pudenziana Zagnoni la minore e l’ Angelo
don Marcello Stanzione
Un solo angelo ha assicurato l’accompagnamento spirituale della clarissa bolognese Camilla Pudenziana Zagnoni, nata nel 1592 entrata nel 1609 presso le Povere Dame Clarisse del monastero di San Bernardino, poco dopo la morte della sua sorella maggiore, di cui ella ha preso il nome religioso. Questa Pudenziana la Maggiore, deceduta all’età di venticinque anni in fama di santità, ha trascorso la sua vita sotto il tetto paterno in qualità di monaca di casa (religiosa a domicilio familiare non in un convento), poiché ella era continuamente malata. Le grazie straordinarie con cui fu colmata durante i suoi ultimi anni hanno determinato la sua sorella minore, già molto pia, a scartare un progetto di matrimonio per farsi religiosa.
Per più di quindici anni, suor Pudenziana conduce l’esistenza di una monaca osservante, che nulla distingue dalle sue compagne, se non un attaccamento scrupoloso alla povertà serafica e l’austerità delle sue penitenze. Una mattina del 1627, ritornando nella sua cella dopo la comunione, ella trova un bambino dai sei ai sette anni. Un po’ meravigliata, la clarissa gli chiede che cosa faccia lì, e perché ha violato la clausura monastica. Senza smontarsi, il fanciullo le risponde: “Io sono presso di te il messaggero della corte celeste, il servitore dell’Amore divino, deputato al tuo servizio”. La prima reazione di suor Pudenziana è di sorridere, ma i suoi occhi subito si contraggono: per bambino che sembri, l’angelo si mostra a lei in una tale gloria che ella per poco non sviene. Egli è di una bellezza indescrivibile, vestito d’una tunica d’un bianco abbagliante che riempie la cella di luce. La suora non ha più voglia di ridere, ancor meno quando il suo angelo custode le dichiara che egli è incaricato da Dio di guidarla al grado di perfezione che ha raggiunto la sua sorella maggiore, morta diciotto anni prima. A questo scopo, egli le apparirà quasi tutti i giorni, per guidarla nelle vie della santità ed illuminarla nella sua vocazione. Egli infiamma il suo cuore d’amore per Dio, di compassione per le anime del purgatorio, di misericordia per i poveri peccatori. Mostrandosi esigente, ed anche severo, egli non le passa la minima imperfezione, le rivolge delle rimostranze più che dei complimenti, l’aiuta a preparare le sue confessioni. A questa scuola, ella fa rapidi progressi nella virtù, soprattutto a partire dal momento in cui, all’angelo, si unisce sua sorella maggiore.
Sotto quella duplice condotta, Pudenziana avanza poco a poco nel cammino della perfezione, che le è mostrato dall’angelo come una strada stretta e scoscesa, spazzata da ogni lato dall’obbedienza e l’umiltà. Ben presto, l’estasi la coglie dopo ogni comunione, delle visioni allegoriche la istruiscono sulle verità della fede, la Vergine Maria viene a Natale a deporle il Bambino Gesù nelle braccia. Tante meraviglie inquietano il confessore e superiori, il demonio si mette in mezzo seminando il dubbio negli spiriti, poi molestando la povera clarissa. La si priva della comunione: San Francesco d’Assisi e San Filippo Neri (canonizzato alcuni anni prima) vengono a portarle l’eucarestia. L’angelo non rimane inattivo: egli difende la sua protetta contro gli attacchi del demonio, illumina i sacerdoti e, con gli angeli custodi delle altre religiose, perviene a ristabilire la pace nella comunità. Stanco di dover lottare costantemente contro le forze dell’inferno – non è questo l’essenziale del suo compito -, egli finisce col dare a suor Pudenziana una piccola croce d’oro guarnita da brillanti il cui splendore mette il demonio in fuga. Questo le lascia il tempo di proseguire la formazione della clarissa, di prepararla a ricevere le stigmate, a sostenerla nelle sofferenze fisiche e le prove spirituali che le valgono quella nuova grazia. Infine, poco prima di Natale 1662, allorché ella subisce da parte del demonio un ultimo assalto mirante ad insinuare il dubbio e la disperazione nell’anima sua, l’angelo custode le appare, per la prima volta sotto forma di un adolescente splendente di luce circondato da quattro altri spiriti celesti. Avendo messo in fuga l’Avversario, egli dice alla morente: “Finora, io non ti ho dato che corone di rose, te ne porto oggi una di spine: tu non ti risolleverai più da questa malattia”. Corone di rose, tante rimostranze, tanti rimproveri, esigenze di perfezione? L’angelo non manca di humour! Eppure, egli ha ragione: tutti quei sacrifici sono tante rose che preparano la sposa che va incontro allo Sposo. La suora muore il giorno di Natale all’età di settanta anni.