Secondo Gesù nella resurrezione diventeremo come Angeli
don Marcello Stanzione
Ad un insidioso problema esposto dai Sadducei, Gesù diede questa risposta: “I figli di questo secolo prendono mogli e mariti. Però quelli giudicati degni di far parte di quel secolo [venturo] nella resurrezione dei morti, non prenderanno mogli, né mariti, perché già non possono morire e sono somiglianti agli angeli ed, essendo figli della resurrezione, sono figli di Dio ” (Luca 20, 34-36. Cfr. Matteo 22, 30; Marco 12, 25. Cito il testo di S. Luca perché qui si trova il termine ίσάγγελος, fondamento di tutta la dottrina patristica. Gli altri evangelisti usano: ώς αγγελος).
Queste parole del Maestro ci segnalano, nell’integrità verginale, il carattere essenziale della vita futura. Da esse si deduce, come dice Tertulliano, che in cielo la carne umana sarà spiritualizzata, angelificata; e quanti rinunciano al matrimonio, motivati per cause soprannaturali, anticipano le realtà escatologiche, sono già da adesso simili agli angeli, conducono vita angelica. In quest’ultimo senso, le parole di Gesù hanno trovato un’eco potente lungo i secoli cristiani. Non c’è un solo autore antico che non abbia trattato della castità, che non stabilisca la comparazione fra quelli che la conservano e gli angeli del cielo. Questo tema è tuttavia corrente. L’espressione “la virtù angelica” è impiegata con frequenza; Sua Santità Pio XII parlava della “vita angelica delle vergini cristiane” e chiamava Santa Maria Goretti “angelo in un corpo umano” e “bambina angelica!”. Rivolgendosi verso il gruppo formato dalle vergini consacrate e dai monaci, Sant’Agostino diceva in uno dei suoi sermoni: “Convenite che, uomini o donne che siate, fate vita angelica sulla terra. Perché gli angeli non si sposano e non prendono moglie. Saremo tali quando resusciteremo. Il vostro stato è quanto di migliore ci sia, voi che cominciate prima di morire quello che gli altri uomini saranno dopo resuscitati!”. Queste frasi si possono anche applicare, in generale, a quanti vivono in castità e purezza. La vita angelica, in effetti, non è patrimonio esclusivo di quelli che si mantennero sempre separati dall’opera della carne. “La castità” e non solo la verginità, “è la vita angelica”. Già Tertulliano affermava che anche le vedove che rinunciano alle seconde nozze, passano a far parte della famiglia degli spiriti celesti; e San Giovanni Crisostomo propone loro lo stesso ideale delle vergini, giacché è possibile arrivare alle stesse vette sebbene il principio della loro ascensione sia situato su un piano meno alto. Certo è che le vergini realizzano una “filosofia superiore”, e da questo punto di vista, il loro stato è più sublime di quello delle vedove; ma questo non impedisce loro di poter raggiungere lo stesso grado di perfezione angelica. Lo stesso si dica dei monaci, di tutti i monaci che vivono in coerenza con la loro professione. Anche se l’abito monastico è considerato spesso come veste penitenziale! Simone di Tessalonica si poneva questo problema: come può – si domanderà a volte – l’abito di penitenza chiamarsi abito angelico, se gli angeli né peccano, né possono peccare per natura?”. E fra le altre ragioni cita la seguente: il monaco “ha abbandonato la vita secolare; ha detto addio al mondo, ai suoi genitori, a sua moglie, ai suoi figli e ai suoi fratelli” per imitare “la vita degli angeli, i quali non sono sottomessi a nessun potere di amore terreno, e non hanno parentela carnale”. In qualsiasi modo siano arrivati alla soglia della vita religiosa, per il solo fatto di vestire l’abito e obbligarsi a conservare la castità, “fanno una vita simile agli angeli”; a non darsi in pasto alla concupiscenza per il voto che emettono, dalla loro stessa professione sono iscritti nei “registri angelici”, ed essendo uomini impastati con carne e sangue, soggetti alle necessità di una natura mortale, la loro purezza li rende adatti ad operare “come se non avessero corpo”, o meglio ancora, “fuori da poche cose”, sono “esseri incorporei”. Come si vede, la castità gioca un ruolo importantissimo nell’equiparazione tradizionale della vita monastica alla vita angelica. “È monaco” – dice San Giovanni Climaco, – “colui che imita, in un corpo terreno e sordido, lo stato e la vita di quelli che non hanno corpo”. E San Bernardo afferma che non c’è nella Chiesa stato più simile ai cori celestiali di quello monastico; nessuno è più vicino alla Gerusalemme di sopra “sia per la gioia della castità, che per l’ardore della castità”. Il grande abate di Chiaravalle in un’altra occasione diceva, predicando ai suoi monaci: “Chi dubiterà chiamare vita celestiale ed angelica la vita del celibe? Ciò che nella resurrezione devono praticare tutti gli eletti, astenersi dal matrimonio, non lo fate già come gli angeli di Dio in cielo? Abbracciate, fratelli miei, la perla preziosissima; abbracciate la santità di vita che vi rende simili ai santi e i familiari di Dio, come dice la Scrittura: l’illibatezza avvicina a Dio. Così, non per i vostri meriti, bensì per la grazia di Dio, siete ciò che siete, per quello che riguarda la castità e la vita santa, siete angeli sulla terra, o meglio, cittadini del cielo”.
Sant’Agostino riassume il costante insegnamento della tradizione cattolica anteriore e posteriore nel dire: “Che c’è di più gioioso che la castità, la quale […] fa dell’uomo un angelo? Certamente l’angelo e l’uomo puro differiscono fra di loro, però in felicità, non in virtù. Ma, anche se è più gioiosa la castità di questo, quella è evidentemente più valorosa. Solo la castità in questo luogo e tempo della mortalità rappresenta indubbiamente lo stato dell’immortalità della gloria”.
L’agiografia, da parte sua, afferma che gli spiriti celesti conducono in Paradiso le anime dei cristiani che muoiono in grazia di Dio: San Paolo primo eremita, così riferisce di Sant’Antonio abate, di San Eutimio, di San Aidano e di tanti altri santi. “Eravamo usciti dalla carne, e quattro angeli ci trasportavano verso Oriente, verso il Paradiso di Dio”, ci raccontava Saturo all’inizio di questo capitolo. San Zenone da Verona dice, riferendosi al battesimo, che le nostre acque ricevono morti e restituiscono vivi; fanno, di animali, veri e propri uomini, i quali “si convertiranno in angeli” se, all’avanzare dell’età, non perdono ciò che ricevettero nella loro infanzia spirituale. Nel battesimo si infonde nell’uomo il germe della vita angelica, che deve svilupparsi lontano dall’esistenza terrena, per manifestarsi pienamente nella vita d’oltretomba. È allora quando, come si legge nella vita di Santa Macrina, gli angeli devono riconoscere la propria vita nella vita del cristiano. Però solo alla fine dei tempi – in illo tempore immutationis angelicae – quando si è interamente “uguali agli angeli”, gli eletti riceveranno nel Paradiso ultimo ed eterno, un corpo “celeste ed angelico”, la loro carne sarà come fusa nuovamente e spiritualizzata e acquisteranno sembianza di angelo o, come dicono San Zenone di Verona, San Giovanni Crisostomo e molti altri Padri, si convertiranno in angeli.
Quest’ultima espressione è evidentemente impropria. Infatti gli uomini non possono realmente mutarsi in angeli. Alcuni cristiani si sono fatti questa illusione; ma la maggior parte degli autori che parlano di trasformazione di uomini in angeli, si servono di quest’espressione iperbolica sia per abbreviare, sia per causare maggiore impressione al proprio pubblico o ai propri lettori, senza credere nemmeno remotamente alla possibilità di un connubio di tal natura. San Gerolamo, zelante guardiano della fede, reagendo contro deviazioni origeniste, ha protestato infinite volte contro questa locuzione ambigua.
La Scrittura non dice che i beati “saranno angeli”, bensì che “saranno come angeli”. Saranno simili agli spiriti angelici, però non smetteranno di essere uomini, “incliti certamente ed ornati con splendore angelico, però tuttavia uomini”. “Non è la natura degli angeli, bensì la vita e la beatitudine degli angeli” ciò che il Signore ci promette. E non è cosa di poca importanza! Che nessuno si senta disilluso. “Non saranno angeli, però quasi angeli. O uomo! Ti sembra poco essere come un angelo”. No, non è cosa da niente essere come gli spiriti celesti in Paradiso, godere della stessa visione beatifica, prendere parte alla stessa liturgia, essere puri e santi come loro, formare con loro una sola e medesima città beata.