DS Michele Cirino
Il libro che rappresenta un’opportunità di un viaggio esilarante, ancestrale, purificante e terapeutico nei posti più reconditi dell’animo e dello spirito, oltre il tempo e lo spazio e tra passato, presente e futuro. Dalle pagine del libro di RODIA abbiamo questa conferma. ….Il viaggio è come sentiero di un futuro che affermi le proprie potenzialità nell’umanità e amore insita in ogni persona nella convinzione che dal cammino si esce più puri e più forti dentro. IL testo come un’operazione catartica e quasi ispirato a derive dantesche in cui dalla contaminazione con il mondo si riemerge ancora più puri e forti. Perchè nel viaggiare non conta la meta ma il Viaggio …… Si coglie inevitabile nelle pagine del libro il grande pathos pedagogico dell’autore, la sua forza identitaria che lo fa viaggiare nel suo passato nella sua terra e nei suoi affetti. Nelle descrizioni del monte Terminio e della RIPA DELLA Falconara mi ricorda un po’ GIUSTINO FORTUNATO in su e giù per il Terminio. Ecco i passi del libro di Giustino Fortunato ( molto simili in alcuni passi del testo di RODIA) grande meridionalista che mi fecero innamorare della mia terra e mi diedero input alla lettura per me continua scoperta amplificatrice di libertà e di sogni, qualcuno realizzato e altri da perseguire, ma che restano nell’animo e nello spirito e di conseguenza ancora più vivi e reali. L’AUSPICIO PER LE NUOVE GENERAZIONI E PER I MIEI ALUNNI E I MIEI FIGLI DI COLTIVARE I PROPRI SOGNI ANCHE E SOPRATTUTTO ATTRAVERSO LA LETTURA. Da Giustino Fortunato….. ……Catene di monti sfumanti e ondeggianti quasi nuvole dall’estremo orizzonte, mi davano come una vaga sensazione di quell’ignoto, di quell’interminabile, di quell’infinito che tanto affatica la mente…Quegli accordi misteriosi, quelle voci indefinite, che non si sa donde vengano e che compongono la stupenda sinfonia della natura… Sentii che la montagna è la regina della natura, regina indomita e superba, simbolo della sua forza e del suo mistero, della sua purezza incontaminata: la prima che il sole imporpori, l’ultima che esso abbandoni.Mi ricordo tuttora di certe ultime catene di monti, sfumate e ondeggianti quasi nuvole all’estremo orizzonte, che mi davano come una certa sensazione di quell’ignoto, di quell’interminabile, di quell’infinito che tanto affatica la mente; e tutti quei dossi della giogaia sottostante, rigogliosi di vergini selve, mi raffiguravano alla fantasia, l’avida gioia dei primi emigranti, l’ansia dei primi scopritori di una terra sconosciuta, che dal monte corressero alle valli forti di giovinezza e di speranza; e a quel modo che l’occhio, anche il pensiero errava qua e là a caso. Quando ci levammo da sedere, non so quali sogni mi frullassero per il capo, ma certo mi sentivo più lieto e più leggero che mai. Dando indietro per il versante orientale, ci rimettemmo a pochi passi dalla vetta, nella grande ombra dei faggi, che divenivano più robusti e fronzuti a misura che discendevano per il Vallone degli Uccelli; e là in quell’ambito di vegetazione, fra gli acri profumi dei licheni, in quelle armoniose vibrazioni dell’aria, ci pareva di godere più piena e più dura la coscienza della vita. Il sole mandava per gli interstizii lievi raggi sottili, e gettava a terra sull’umido fogliame caduto, piccoli cerchietti lucidi e ridenti: da per ogni dove, ad ogni fuga di valloncelli, ad ogni falda, ad ogni cima lontana, non comparivano se non verdi boscaglie sotto un azzurro di paradiso, verdi boscaglie vigorose di cento tinte dall’opalino al più cupo smeraldo. Provavo quel benessere indefinibile, che i grandi spettacoli della natura sogliono infondere nel cuore dell’uomo. Sostavo ad asciolvere in su la vena cristallina dell’Acqua della Pietra, che si svolge come nastro d’argento per una conca tappezzata di erba, e riprendendo il cammino a mezzo del Piano di Verteglia, che è davvero la più deliziosa Valletta che si possa immaginare, io pensavo all’età mitologica dell’oro, al beato regno di Giano e di Saturno, ai buoni terrigeni pastori del nostro Appennino; pensavo alla gentile egloga virgiliana, all’idillio amoroso di Dafne e Cloe, alle primavera sacre degli antichi popoli italiaci. Ma Giustino Fortunato si era limitato alla descrizione naturalistica. RODIA guarda la natura per arrivare e scandagliare il suo animo inquieto in un viaggio dell’esistenza che lo porta meglio a conoscere se stessi e l’uomo che peraltro è presente in ognuno di noi. Si coglie nel libro di RODIA la sua attenzione particolare alla cultura orientale o quanto meno ad una visione più sostenibile della nostra CULTURA OCCIDENTALE persa tra Chairos e KRONOS in una diversa concezione del tempo. In una rivalutazione del disordine e del KAOS che non è’ un problema ma un’opportunità. Si intravede anzi e’ tangibile come INCIPIT il forte spirito Cristiano intriso di una fede di ottimismo e di speranza. Una fede cristiana amplificata attraverso il dialogo con l’area celo mai prescritti a ma fortemente indicativa. Il libro di RODIA rappresenta Un contributo al lettore rispetto a possibilità di liberazione dell’anima e dello spirito per una più completa consapevolezza del proprio ESSERE. Un testo che riporta la nostra personalità, oggi sospesa in un mondo incerto con un futuro inquietante, in un momento e rigurgito di pace, amore e speranze facendo leva sui valori più grandi ed eterni che non andranno mai a scomparire….. L’amore per se e per gli altri….. amore che non muore mai…..specie quando nelle persone si afferma autenticità, lealtà, umiltà e semplicità che abbrevia la complessità del momento. RODIA in questo brano ricorda e omaggia la periferia da cui proviene, nella quale è più facile sognare che fare i conti con la realtà, una periferia che dà pugni nello stomaco e non sembra lasciare altra via che il dolore e la fuga. Eppure proprio questa realtà e la condizione in cui cresce, gli permetteranno di imparare a resistere e ad andare avanti, senza voltarsi indietro e senza lamentarsi; e gli faranno scoprire la passione per lo sport, per la scrittura, il suo ESSERE AUTENTICO la sua salvezza e il suo vero amore, ciò che nonostante tutte le difficoltà è in grado di riportare un senso nella sua vita di uomo e di professionista. Un amore puro e potente, che in parte lo allontana dal suo passato e lo fa sentire solo e dall’altro gli permette di narrare e scolpire nella memoria gli amici di sempre, quelli che non ce l’hanno fatta e che sono ancora là, ai bordi delle periferie. L’opera narrativa di RODIA ci permette di avvicinarci ad un nuovo sentiero. IMPARIAMO DALLA NATURA e dall’essenzialità della terra. Forse l’unica soluzione alla deriva dell’occidente e alla crisi dei nostri tempi: il ritorno alla contaminazione con la terra per un mondo un po’ più rurale, agreste ed autentico Dopo aver visto attraversare negli anni 80 e successivi le strade del decadimento e della deriva consumistica. Dopo aver visto quotidianamente i danni causati dalla società postindustriale, dalle derive ed eccessi consumistici. L’auspicio nel dopocoronavirus: All’apparire, alla mercificazione, al finto benessere, all’ambiguità comunicativa, ai falsi moralismi, al male affermiamo tutti un ritorno alle origini in un contesto e in un mondo Pastorale, Agreste, bucolico, rupestre nella piena contaminazione con la natura connotato da tanta umiltà e semplicita’ attributi degli uomini forti Il libro nella sua ci lettura mi da l’opportunità di andare indietro nel tempo, attraverso un remake del nostro film della vita, ai tempi di quando anch’io ero un ragazzo nato… ai bordi di periferia…. Nella Serino degli anni 70 che non esiste più….dove l’aria era popolare