La Voce e la Vita della Chiesa: La Domenica delle Palme
Diac. Francesco Giglio
Domenica 28 aprile anno del Signore 2021, ancora segnato dal coronavirus, i riti della Settimana Santa sono pieni di una particolare tristezza perché non consentono di vivere questi forti momenti spirituali nel segno della comunione e della comunità. Ciò nonostante è il caso di ricordare a tutti il forte valore di questa settimana che è “l’evento fondante della nostra fede” e quindi vale la pena di riportare alla nostra mente il significato di questa solenne ricorrenza.
Nel cristianesimo, la “Domenica delle Palme” è la domenica che precede la Pasqua. In questo giorno si ricorda il trionfale “ingresso a Gerusalemme di Gesù”, in sella a un asino e osannato dalla folla che lo salutava agitando rami di palma, come descritto da Giovanni nel suo Vangelo (12,12-15). La ricorrenza è osservata dai cattolici, dagli ortodossi e da alcune Chiese protestanti. Nella forma ordinaria del rito romano essa è detta anche domenica “De Passione Domini”(della passione del Signore).
Nel calendario liturgico cattolico, la Domenica delle Palme segna l’inizio della “Settimana Santa”. Con essa, però, non termina il periodo della “Quaresima”, che finirà solo con la celebrazione dell’ora nona del giovedì santo, giorno in cui, con la celebrazione vespertina si darà inizio al sacro triduo pasquale. Come descritto dai Vangeli, Gesù Cristo giunto a Gerusalemme invia due discepoli a prendere a prestito l’asino, dicendo loro di rispondere: «Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». In questo modo Gesù afferma la sua natura divina; e i due discepoli inviati, rispondendo come loro indicato, lo riconoscono Dio (cfr. Mc 11,3-4; Lc 19,31.34; Mt 21,3). La liturgia cattolica celebra l’evento cantando all’inizio della celebrazione (S. Messa) l’inno “Osanna al Figlio di Davide, osanna al Redentore”. L’ingresso di Gesù a Gerusalemme avviene esattamente una settimana prima della sua resurrezione dalla morte di croce. L’evento è descritto nei tre vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca) ma solo quello di Giovanni è “più storico” dei sinottici ed è quello che fornisce l’elemento di datazione e di identificazione della folla. Sei giorni prima della Pasqua ebraica, la folla dei Giudei che si preparava ed era radunata per il pellegrinaggio settimanale ebraico del Sukkot, accorre a Betania dove si trovano Gesù e Lazzaro resuscitato il Sabato. La Pasqua ebraica cade di sabato, e nell’uso ebraico i giorni si contano dalla sera del giorno precedente al tramonto del successivo.
Il giorno seguente la folla vede Gesù mentre si dirige a Gerusalemme e decidono di seguirlo. Alcuni autori fanno notare che la “Torah” concedeva il sabato, giorno festivo, di effettuare pellegrinaggi soltanto su brevi distanze. I teologi cristiani ritengono che il significato simbolico sia illustrato in Zaccaria (9,9), citato dagli stessi vangeli sinottici, dove Gesù Cristo Dio è profetizzato, fra le genti di tutta la terra, come il “Re di Israele e il Principe della Pace universale”. In molte terre nel Vicino Oriente antico, era consuetudine coprire la terra percorsa da qualcuno ritenuto degno del più alto onore. Sia i Vangeli sinottici che il Vangelo di Giovanni riferiscono che la gente diede a Gesù questa forma d’onore. Nei sinottici la gente è descritta mentre posa i loro indumenti ed i rami di palme tagliati lungo la via, mentre Giovanni specifica che erano rami di Palme (in greco, Phoinix). Nelle zone in cui vi è scarsità o assenza di piante di palma native, i loro rami sono sostituiti da quelli di ulivo, in modo particolare in Italia e in Spagna, mentre nell’Europa settentrionale da fiori e foglie intrecciate di salice o bosso. Nel vangelo secondo Giovanni (12,12-15), si narra che la popolazione abbia usato solo rami di palma che, a detta di molti commentarisono simbolo di trionfo, acclamazione e regalità. Nella cultura greca e dell’impero romano, il ramo di palma e di alloro erano segni di vittoria e trionfo quando il triumphator (trionfatore) deposta la sua armatura vestiva la toga, cioè l’abito indossato dai civili in tempo di pace ornato di vari simboli, quali erano appunto i rami di palma. Da noi vige l’usanza che i fedeli portino a casa i rametti di ulivo e di palma benedetti, per conservarli quali simbolo di pace, scambiandone parte con parenti e persone amiche. In alcune regioni, è tradizione che il capofamiglia utilizzi un rametto, intinto nell’acqua benedetta durante la veglia pasquale, per benedire la tavola imbandita nel giorno di Pasqua. In molte zone d’Italia, con le foglie di palma intrecciate vengono realizzate piccole e grandi confezioni addobbate. Questa usanza è molto forte in Sicilia si è estesa poi in tutta Italia (come i parmureli di Bordighera e Sanremo in Liguria), che vengono scambiate fra i fedeli in segno di pace. In Occidente questa domenica era riservata a cerimonie prebattesimali: il Battesimo era infatti amministrato a Pasqua. All’inizio solenne della Settimana Santa, quindi, benedizione e processione delle palme entrarono in uso molto più tardi: dapprima in Gallia (secolo VII-VIII) dove Teodulfo d’Orléans compose l’inno “Gloria, laus et honor” e poi a Roma dalla fine dell’XI secolo.
Auguriamoci che questa eccezionale “Domenica delle Palme”, che cade in un particolare momento difficile e carico di incertezze, serva a farci ritrovare e riscoprire i veri valori cristiani sui quali si fonda la nostra fede e su cui sono innestate le radici cristiane e da cui attinge linfa non solo la nostra Italia ma anche l’Europa e il resto del mondo. Possa questa Pasqua essere un forte momento di riconciliazione con Dio e con i fratelli. A tutti, credenti e non, l’augurio di un domani rischiarato dalla luce di Colui che con la sua morte in croce ci ha fatto passare dalle tenebre alla luce, e che continua a dirci: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (cfr. Gv 14,1-6).