Sabato mattina una delegazione composta dai parlamentari Franco Mari (AVS), Rachele Scarpa (PD) e Arnaldo Lomuti (M5S), accompagnati da avvocati, mediatori, medici, infermieri e operatori principalmente di ARCI e CGIL, ha effettuato una visita ispettiva al Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza.  Dove una settimana fa è morto un giovane migrante di 23 anni in circostanze ancora da chiarire. La delegazione è intervenuta in rappresentanza delle organizzazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione unitamente a esponenti e dirigenti locali dei partiti di opposizione.
L’ispezione ha messo in luce una situazione di grave degrado e una gestione problematica del centro. Elementi che non
possono più essere ignorati, come la presenza di gravi vulnerabilità, di minorenni al momento dell’ingresso, di persone che vengono rinchiuse in cella dopo aver lavorato in Italia per anni per semplici irregolarità burocratiche. Una privazione di libertà che appare in questi casi oltremodo ingiustificata e che si trasforma in una privazione della dignità umana.
I CPR, affidati a gestori privati su mandato delle Prefetture, sono da tempo al centro di  numerose
inchieste e denunce riguardanti le condizioni disumane e degradanti in cui vengono trattenute queste persone. I visitatori hanno verificato molte delle criticità e delle irregolarità già segnalate in altri CPR, constatando come Il caldo torrido accentui una condizione già estremamente precaria, difficile e a dir poco inumana.
Il CPR di Palazzo San Gervasio, già considerato dalla Procura come non conforme agli standard di salute e sicurezza, è stato oggetto nel corso degli anni di numerose indagini per reati quali maltrattamenti, frode nelle forniture pubbliche, truffa ai danni dello Stato e corruzione.
Nati con l’intento di trattenere temporaneamente gli stranieri irregolari in attesa di rimpatrio, i CPR hanno finito per rappresentare strumenti di politiche securitarie e discriminatorie e con il diventare meri strumenti di propaganda.
In Italia sono attualmente operativi 8 CPR, dove si stima che circa 550 persone possano essere detenute fino a 18 mesi. Questi centri, che rappresentato un fallimento delle stesse politiche securitarie di chi per queste ragioni li ha concepiti, negano i diritti fondamentali e la dignità umana, costituiscono delle vere e proprie aberrazioni giuridiche e sociali. È chiaro che il sistema dei CPR sia irriformabile e che l’unica soluzione possibile sia la loro chiusura immediata. Chiusura che si rende ormai indifferibile e urgente, atteso che i CPR rappresentano un fallimento di chi non ha una visione che contempli l’esser parte del Mediterraneo e allo stesso tempo è incapace di mettere mano ad una riforma di sistema in grado costruire accordi internazionali e politiche di cooperazione e sviluppo invece che di ottusa e miope esternalizzazione dei confini. Bisogna chiedere tutti i CPR.  Non si può più consentire che la cattiva gestione di queste strutture distolga l’attenzione dal problema centrale: la criminalizzazione della condizione umana. La presenza irregolare sul territorio è una questione amministrativa, non un reato, e non può essere trattata come tale. La chiusura dei CPR deve essere una priorità assoluta e non ulteriormente rimandabile.