Il tallone d’Achille
Dott. Carmine Paternostro
Quel famoso, adivino, vulnerabile tallone d’Achille…pensavo in auto, evitando pericoli d’auto pazze, decise in sorpassi audaci, inversioni repentine di rotte, frenate improvvise, imposte da velocità non consentite. Qualche auto presentava difetti di vista notturna: qualche faro accecato, timidamente spento o decisamente abbagliante.
Le strade dell’uomo sono diverse come quelle acquisite o scritte in genetica.
Ulisse acquisì lo scudo d’Achille, a danno di Aiace, suicida. Dopo dieci anni di guerra, a motivazione economica girovagò per altri dieci anni per depredare ancora il mondo mediterraneo e ritornare, in solitudine, naufrago e pezzente, nella natia Itaca a ritrovare la fedele Penelope ed il figlio Telemaco.
La mitologia non gradiva un Achille divino, ma proiettato alla fama per sempre. Gli toccava pagare un prezzo salato per accedere alla celebrità in eterno.
Il mitico eroe era figlio di dea: Teti, accoppiata a un mortale: Peleo. E mi viene un sospetto: Peleo commise un peccato con una povera donna terrena, celebrata, in riparazione, divina? Il neonato divenne ardito guerriero dal “piè veloce”, quel famoso vulnerabile “piè”, dal “calcagno” mortale.
Il tallone fu esposto all’oltraggio di quel nemico rapace, detto Paride, figlio di Priamo, furtivo di Elena, infedele consorte di Menelao, Re di Sparta guerriera.
Fu propizia occasione per deviare la fiorente economia di Troia verso le anemiche poleis greche. L’Ellade intera si coagulò e, quale mobile trombo, veleggiò fino alla mura di Ileo. Fu una sanguinosa, ma proficua guerra decennale. La storia di Omero declama la fine di incliti eroi quale Ettore, per mano d’Achille, Aiace, Patroclo, la famiglia reale di Priamo e…
Ed allora c’è da chiedersi di quale fortuna si sarebbe giovato il quasi invincibile Achille, se fosse nato con una malformazione congenita al piede o privo di gamba o di piede? Se fosse nato da genitori comuni? Non sarebbe nella gloria del mito, ma non avrebbe pianto il compagno Patroclo, salutato in tristezza Briseide, non avrebbe accolto e lacrimato con Priamo, davanti ai resti flagellati di Ettore, restituito alla gloria. Infine, non avrebbe conosciuto la morte da quella avvelenata freccia fatale, mirata nel fallibile tallone scoperto dal distruttore di Ileo, Paride Alexander.
Il tallone d’Achille è il punto debole cercato dall’uomo per colpire il più debole ed arricchirsi o accontentarsi del poco, pur di star meglio. È l’entropia egoistica dell’uomo: colpisco, elimino, occupo, prendo l’altrui per star meglio, finché un rapace più forte ripeterà il ciclo dei castelli di sabbia. E’ il repetita di Caino e Abele, che si perpetua nel mondo guerresco dell’oggi, mentre il globo agonizza, dei ghiacci permane il ricordo, l’Amazzonia è deserto.
L’uomo, ritenendosi più forte di Dio, ha dimenticato il sudore dei campi, trasmesso ai figlioli. Il tempo è ormai definizione del finito e dell’addio. La gioventù è volatile, come le membra in progressiva ossidazione infrenabile.
“A livella” si riduce in fatue parole.
In una breve, effimera vita, perché non godere alba e tramonto in pace, serenità e sorriso? Cancelliamo la brutta parola di “guerra”, non miriamo al fragile tallone d’Achille, in fondo, siamo figli di Abele.