Minori: commemorazione vittime alluvione ’54
Il contrasto tra l’esultanza mista a speranza del popolo triestino, dopo il tanto desiderato ricongiungimento all’Italia, e la disperata sensazione di annientamento delle popolazioni del Salernitano, colpite da una tremenda alluvione, è ben sintetizzato dalle parole che padre Candido da Altavilla Silentina scrive nel suo Salerno, ore 1.52: rievocazione dell’alluvione del 26 ottobre 1954:
La mattina del 26 ottobre tutta l’Italia si preparava a grandi manifestazioni di giubilo perché Trieste, sacro lembo irrorato dal sangue degli eroi, veniva restituita alla Madre Patria. Dalle Alpi all’Etna, malgrado la pioggia insistente, doveva essere tutta una festa, uno sventolio di tricolori. Ad un tratto la radio, che tutti ascoltavano attentamente per seguire, anche di lontano, l’entrata emozionante delle truppe italiane a Trieste, diede la ferale notizia che mutò tanta gioia in un dolore immenso: Salerno, una delle più ridenti gemme del Tirreno, e vari paesi della Costiera amalfitana, nella notte, erano stati colpiti da una catastrofe senza precedenti.
Alcuni dati sull’evento alluvionale del 1954 (desunti da E. Esposito, S. Porfido, C. Violante, Il nubifragio dell’ottobre 1954 a Vietri sul mare, Costa d’Amalfi e Salerno, 2004)
Il 25 ottobre del 1954 la provincia di Salerno venne interessata da una perturbazione proveniente dall’Italia settentrionale che assunse i caratteri di un autentico ciclone a partire dalle ore 21. I dati registrati in quell’occasione mostravano l’eccezionalità dell’evento per intensità e durata: si calcolò che caddero circa cinquecento millimetri di pioggia nell’arco di dodici ore. Un dato fuori portata che superò i precedenti noti e determinò l’alluvione più disastrosa che abbia mai colpito il comprensorio in tempi recenti.
L’area interessata dal fenomeno si estendeva per oltre 500 km2, da Campagna a Ravello e da Battipaglia a Nocera Inferiore. Gli effetti più dirompenti si ebbero in una zona di circa 100 km2, interessando i bacini dei torrenti Rafastia, Fusandola, Bonea, Cetus, Reginna Maior e Reginna Minor.
Le conseguenze del nubifragio furono rese ancora più gravi da una serie di frane e smottamenti che travolsero uomini, animali e cose. Inoltre, l’opera stessa dell’uomo contribuì al disastro, in particolare dove gli alvei dei corsi d’acqua nei tronchi inferiori, attraverso gli abitati, erano stati ricoperti lasciando cunicoli risultati insufficienti.
Le vittime furono numerose: si contarono, secondo le stime ufficiali, 318 morti tra Salerno, Vietri sul Mare, Cava de’ Tirreni, Tramonti, Maiori e Minori. I senza tetto furono più di diecimila, immani le distruzioni materiali (strutture civili e private) per un ammontare di circa 35 miliardi di lire (il dato è desunto dalla Relazione degli onorevoli De Martino e Sanza, elaborata nel febbraio 1955 per il disegno di legge Romita).
La vicenda minorese
La città di Minori fu interessata in misura minore dal fenomeno, ma si trovò parimenti a piangere tre vittime, di cui due bambine.
Non era la prima volta, però, che la natura presentava un severo conto. Rimandendo ai soli eventi dello scorso secolo, va ricordato che già nel 1910, il 24 ottobre, si registrarono quattro vittime (Bernardino Fraulo, Vincenza Ferraioli, Vittorio Infante e Vincenzo Amato) e notevoli danni lungo i pendii e nel piano del paese, con lo straripamento del torrente. Un’altra vittima, poi, si ebbe nel 1944 (il 18 giugno): il granatiere Giuseppe Borgia, milite originario del frusinate, in servizio a Ravello nel 1° Battaglione Speciale “Granatieri di Sardegna”. Trovò la morte per annegamento in un locale sotto il livello stradale nei pressi del Municipio.
Ma sia per la conformazione del territorio sia per l’angustia dell’alveo in cui era costretto il torrente che dà il nome al paese, Minori soffriva all’epoca periodici allagamenti, come ricordava Luigi Di Lieto nel suo C’era una volta un paese: “L’alluvione è sempre stata una minaccia incombente ad ogni «rottura dei tempi». Le prime piogge torrenziali di autunno, talvolta a settembre e persino ad agosto, portavano a valle i residui del sottobosco, la terra arsa dal lungo sole estivo, instabile sui pendii della valle. Il Reginna non ce la faceva, nonostante si corresse ad alzare tutti gli «scelloni». Acqua e terra dappertutto, per le strade, nelle botteghe, nei negozi”.
Fu così anche nel ’54.
Trofimena Esposito, la nipote Carmela di quattrordici anni e la piccola figlia adottiva Anna Girandi, che non ne aveva ancora compiuto cinque, trovarono la morte a pochi metri dalla loro abitazione. La ricerca della salvezza si tramutò nel passo falso che le inghiottì: uscite da una porta laterale di uno stabile lungo il corso Vittorio Emanuele, provarono a guadagnare i piani superiori della palazzina, ma l’ondata di piena le trascinò verso le cantine sottostanti che intanto si stavano riempiendo di fango. Furono ritrovate tutte e tre nei giorni successivi. A piangerle l’intera comunità. Le cronache dell’epoca celebrarono l’allora sindaco Francesco Di Lieto, a cui si pensò di dedicare una statua per omaggiarne l’attiva opera volta a salvare i suoi concittadini.
Un ruolo decisivo fu inoltre giocato dall’area archeologica di epoca romana presente nel paese, collocata al di sotto del livello stradale a formare una sorta di vasca di raccolta verso cui confluì in parte il materiale fangoso.
I danni misero in ogni caso in ginocchio l’economia di Minori e il morale dei suoi abitanti: strade e piazze allagate, il letto del fiume ostruito e i suoi argini travolti in più punti, il pontile interrato, le chiese colpite dalle infiltrazioni di acqua; e, poi, la distruzione di due cartiere e di un’officina meccanica, i danni ai mulini e ai pastifici ancora operanti e alla fabbrica del ghiaccio, per non parlare delle abitazioni con le relative masserizie e dei fondi agricoli.
La ricostruzione
Il 1954 fu un anno di svolta per la storia della piccola comunità. Andava risolto innanzitutto un annoso problema e in maniera definitiva: la sistemazione del corso del torrente. La Commissione per i provvedimenti nelle zone alluvionate del Salernitano studiò due soluzioni: l’apertura di un diversivo a occidente dell’abitato con la capacità di portata di 100 m3/sec. oppure l’utilizzo del vecchio alveo interamente coperto e capace della stessa portata attraverso l’abitato. Come noto, prevalse la prima proposta, il che non precludeva la necessità del riattamento della copertura dell’alveo, che avrebbe svolto la funzione di eventuale scolmatore di piena.
Il resto è storia nota: per Minori si apriva una nuova stagione.
La commemorazione di oggi
A settant’anni da quella tragedia la comunità minorese non dimentichi il suo passato e chi rimase vittima delle forze della natura.
L’apposizione di una targa in ricordo di quella tragica giornata è un atto doveroso, forse tardivo. La scelta del luogo non è casuale. Si trova nei pressi dei due luoghi simbolo di quella nottata: la palazzina in cui trovarono la morte Trofimena, Carmela e Anna, e la villa romana, che scongiurò guai peggiori. Chi oggi attraversa questa strada “inciampi” con lo sguardo in quella targa della memoria, a mo’ di monito per il futuro del paese e di pietosa riflessione sulla fragilità umana.