Salerno: Radicali, Salzano “Ottenni da Radio Radicale di seguire processo a Paolo Del Mese ed a crack Amato”
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Donato Salzano
Titoli a nove colonne, pagine su pagine chilometriche. Tali da sbattere il mostro in prima pagina. Troppo ricco il menù per magistrati, inquirenti e giornalisti locali e nazionali. L’ennesima fame di gogna mediatico giudiziaria, sempre pronta a demolire vicende umane e politiche, triturare le vite, fino agli affetti più intimi, quelli dei familiari, del malcapitato di turno. Il suo un identikit perfetto (per taluni aspetti simili al povero Ottaviano Del Turco o al nostro amatissimo Sindaco Giordano) ad interpretare la trama romanzata ordita dagli inquirenti e dalla Procura, da prestarsi quale titolo giornalisticamente efficace: “la casta!”. Tanto da meritare l’onta del carcere, destinazione Fuorni. È lui, Democristiano di lungo corso, cavallo di razza, più volte parlamentare e tante volte sottosegretario di stato nei Governi Andreotti, legato politicamente e fraternamente al divo Giulio in odore di mafia, contemporaneamente processato a Palermo, quale capo dei capi. Lui, Paolo Del Mese già colpevole prim’ancora di aver celebrato il processo.
Oggi, dopo diciassette anni d’irragionevole durata, Paolo è stato assolto per non aver commesso il fatto, insieme ai suoi famosissimi coimputati. Poche righe, pochi trafiletti per riparare, soltanto puntuale e preciso su tutti il suo amico Antonio Manzo su Cronache e pochi altri. Allora però quando infuriava la peste giustizialista, la peste italiana, solitario chiesi e ottenni dal mio direttore Massimo Bordin e dal suo editore Marco Pannella, che Radio Radicale documentasse passo per passo le udienze del processo sul crack Amato. Il conoscere per deliberare sulle onde radiofoniche della Radio che sempre da voce a chi voce non può più averne. Quale contributo alla controinformazione al Regime e alla vicinanza umana e politica di un militante Radicale e pannelliano.
Se per i Del Mese, i Mussari e i Ceccuzzi, che hanno enormi risorse per potersi difendere e resistere alla irragionevole abominevole durata dei processi, spesso risultano per la gran parte dei casi innocenti e per lo più estranei ai fatti ascrittigli. Figurarsi il destino invece dei poveri cristi, incapaci di potersi permettere una difesa decente, gli rimane soltanto subire la tortura dei trattamenti inumani e degradanti in queste infami patrie galere, soffocati d’estate e gelati d’inverno da un sovraffollamento che sempre più spesso conduce alla morte per pena, alla pena fino alla morte, alla pena di morte. Questa l’appendice illegale di una esecuzione penale di un processo penale altrettanto illegale. Ai garantisti e al garantismo di maniera o peggio di quello e quelli a senso unico, preferisco l’affermarsi dello stato di diritto, sempre più però negato da una putrida e fagocitante ragion di stato.
“Signori della corte, io sono innocente e spero, dal profondo del mio cuore, che lo siate anche voi”. Così Enzo Tortora allora seppe difendersi, nel processo dai suoi dolosi accusatori. Forse anche per questo oggi Papà Francesco, appunto in occasione del Giubileo della speranza, richiama alla centralità della questione giustizia e dello stato di diritto, chiede a governanti e parlamentari, l’amnistia e l’indulto, non tanto e soltanto quale provvedimento di clemenza per i detenuti, ma soprattutto quale rientro nella legalità costituzionale e delle convenzioni internazionali per questa martoriata Repubblica. Povera Patria!
Spes non confundit!