LA SACRA SINDONE, IL TERZO REICH, IL SANTUARIO DI MONTEVERGINE, LA MEDAGLIA DI SAN BENEDETTO DA NORCIA E IL SACRO PETTINE DI PADRE PIO DA PIETRELCINA A MONTEMILETTO.
Adolf Hitler e gli uomini del Terzo Reich volevano impadronirsi a tutti i costi della Sacra Sindone, il lenzuolo funerario nel quale Giuseppe d’Arimatea, membro del Sinedrio e segreto discepolo del Cristo, avvolse il corpo esanime di Gesù dopo la sua morte in croce. Il pettine di Padre Pio. La sacra reliquia, donata dalla famiglia Colletti, testimonia il forte legame del frate sannita con la Campania, l’irpinia e Montemiletto. 
 Giuseppe Zingarelli 
Fin dai primi anni del Cristianesimo si diffusero in Italia esperienze monastiche di diversa natura, eremitiche, sul modello dei Padri del deserto egiziano, o costituite da piccole comunità guidate da un abate che si ispiravano alla “Regola” di Cassiano, secondo la quale, all’interno di un monastero, il monaco doveva organizzare la sua vita quotidiana osservando una serie di precetti, dal vestiario alla preghiera, dal lavoro quotidiano alla vita comunitaria, per perfezionarsi sempre più davanti a Dio. Emersero in quell’epoca figure carismatiche. Tra queste certamente la più rilevante fu Benedetto da Norcia. L’ Italia è uno scrigno preziosissimo di chiostri silenziosi, conventi, chiese ed abbazie secolari, rinomati santuari della fede e della cultura.
Luoghi ricchi di fascino, misticismo, arte sacra, in cui si respirano atmosfere di grande spiritualità. Ai monaci, figure che sembrano oggi appartenere ad un lontano passato ed avere scarsa rilevanza nel moderno consesso sociale, si deve lo sviluppo della fede nel “Vecchio Continente”. Fu l’Europa a prendere il posto dell’Impero Romano, il quale, verso la fine del 476 dC, era in evidente stato di sfacelo. L’ Europa fu salvata dai movimenti monastici. Benedetto da Norcia, proclamato Patrono d’Europa da Papa Paolo VI, è una figura di grande importanza. La diffusione e la maggiore concentrazione delle abbazie benedettine si ebbe nell’Italia centrale, anche se esse sorsero praticamente ovunque, dalla Sicilia alla Scozia, da Montecassino alla Francia, dalle Alpi alle grandi pianure della Germania. Il 1° settembre 1939, con un attacco a sorpresa, la Germania nazista invase la Polonia dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale. Nel corso del conflitto il Terzo Reich cercò in tutti modi di impossessarsi della Sacra Sindone. Adolf Hitler e i vertici del suo regime si recarono in Italia dal 3 al 9 maggio 1938, in visita ufficiale. La propaganda fascista, a sua volta, sfruttò la visita del Fuhrer per celebrare l’alleanza italo-tedesca. Accompagnato da due fedelissimi gerarchi, Goebbles ed Hess, e dal Ministro degli Esteri, Joachim von Ribbentrop, Hitler fu accolto a Roma in pompa magna da Benito Mussolini, re Vittorio Emanuele III di Savoia e dal Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano. Era il preludio al “Patto d’Acciaio”, firmato a Berlino nella Cancelleria del Reich  l’anno successivo, il 22 maggio 1939, dai Ministri Ciano e Von Ribbentrop, alla presenza dello stesso dittatore austriaco. Da quel 3 maggio 1938, l’alta gerarchia nazista si mosse in tutte le direzioni per acquisire dettagliate informazioni sul “Sacro Lino”. Rapire la Sindone divenne un obiettivo segreto dei tedeschi. L’ immagine dell’uomo flagellato che porta i segni di maltrattamenti compatibili con quelli di un condannato alla crocifissione descritti nella passione di Cristo, riprodottasi inspiegabilmente sul telo spolcrale nel quale Giuseppe di Arimatea avvolse il corpo di Gesù prima di deporlo nella sua tomba nuova scavata nella roccia, aveva sempre destato grande impressione nei nazisti. Essi ritenevano di poter decodificare dalla sacra reliquia informazioni segrete che avrebbero permesso loro di entrare in relazione con l’infinito e il trascendente. Hitler e l’alta gerarchia del Partito che utilizzò la Svastica come suo simbolo, erano concordi nel ritenere che l’uomo della Sindone poteva essersi reincarnato dopo aver varcato e riattraversato la soglia di una dimensione metafisica sconosciuta ed inaccessibile all’ umanità, ma a chi riusciva a toccare e decriptare il sacro telo che era stato in contatto con il corpo dell’uomo di cui i quattro Vangeli narravano prodigi, miracoli e resurrezione, potevano aprirsi le porte di una inesplorata dimensione cosmica del tempo, dello spazio e della materia. Il Fuhrer sperava non solo di poter toccare l’immagine sindonica, ma anche di invocare, attraverso riti arcani ed esoterici,  l’uomo della Sindone, credendo fortemente di poter acquisire in tal modo poteri soprannaturali attraverso i quali si poteva dominare il mondo. Salito al potere nel 1933, il “Duce” della Germania aveva indicato l’arte tra le fonti ispiratrici e propagandistiche del regime nazista di cui fu ideologo, capo e fondatore. Egli riteneva che l’arte ebraica, corrotta e degenerata, proveniva da una razza inferiore ed “abietta” nei confronti della quale esternare disprezzo e odio era legittimo e doveroso. Decise così di adottare l’arte greca e l’arte romana come modelli di purezza assoluta, ritenendoli totalmente incontaminati dalle influenze ebraiche. Il  “Padre” del Nazismo, prima di “predicare” e diffindere odio e rancore nei confronti degli ebrei, aveva a sua volta  scrupolosamente accertato di non avere antenati ebrei. Riuniti i suoi fedelissimi generali, Hitler istituì una squadra “speciale” alla quale affidò una duplice missione. Trafugare in tutta Europa sculture, documenti, quadri di valore ed opere d’arte, sacra e non, ed impadronirsi in tutti i modi di tre “oggetti” particolari. Il Sacro Gral, la coppa dalla quale Gesù bevve nell’ultima cena, la lancia con la quale il centurione romano, Cassio Longino, trapassò il costato di Cristo per assicurarsi che fosse spirato sulla croce e la Sacra Sindone. Gli esoterici nazisti ritenevano che i tre oggetti legati alla passione di Cristo erano miracolosi, in grado di rivelare e conferire poteri soprannaturali. Nel 1940, la lancia di Longino fu rapita dai nazisti a Vienna, il Sacro Gral, invece, non venne mai trovato. Gli uomini del Terzo Reich sapevano bene che prelevare la Sindone dal Duomo di Torino era una missione impossibile da portare a termine. Hitler desiderava conoscere anche le esatte dimensioni dell’uomo della Sindone. Un pensiero che lo ossessionava da tempo. Ritenendo il lenzuolo dotato di poteri ultraterreni era altresì convinto che lo avrebbe aiutato a vincere la guerra, consacrandolo  signore e supremo dominatore del mondo. Il sanguinario despota di Baunau sull’Inn, credeva che le misure del corpo dell’uomo sindonico incarnassero la perfezione universale del corpo umano, per cui occorreva infonderle alla “razza” che fin dal sorgere del partito da lui fondato, il Partito Nazionalsocialista, aveva in progetto di mitizzare e glorificare. La razza “immaginaria” partorita dalla sua mente era destinata a far breccia nell’immaginario collettivo della Germania nazista. Non v’è dubbio che egli attraverso il suo ubriacante, infido ed ambiguo pensiero  riuscì ad ipnotizzare il popolo tedesco. Fu uno dei cardini dell’ideologia estremista e del fanatismo hitlerista riportato nella autobiografia che egli scrisse, il Mein Kampt, la cosiddetta “bibbia” nazista. Una razza perfetta, superiore, dominatrice, genericamente pura, destinata ad incarnare la perfezione e governare il mondo: la razza ariana. In attesa di riuscire a “mettere” le mani sulla Sindone, il Fuhrer si era ispirato all’immagine dell’ uomo vitruviano. Uno dei simboli più conosciuti dell’arte rinascimentale, raffigurante le proporzioni ideali del corpo umano. L’ immagine vitruviana era stata riprodotta da Leonardo su carta, con penna ed inchiostro, rianalizzando e rielaborando le prospettive teoretiche contenute negli scritti dell’architetto romano, Marco Vitruvio Pollione, ispiratosi a sua volta alla concezione platonica, aristotelica e neoplatonica. Il Da Vinci inscrisse la figura umana in due figure geometriche perfette: il quadrato e il cerchio. Per i nazisti la rielaborazione leonardiana conteneva un messaggio inequivocabile: l’uomo e l’universo sono specchio e immagine di un ordine perfetto, invisibile e superiore.
Quando la Germania invase la Polonia, il pontificato di Pio XII  era iniziato da circa sei mesi. Il Cardinale Eugenio Pacielli salì al Soglio Pontificio il 2 marzo 1939. Le gerarchie vaticane temevano che il conflitto potesse  estendersi ad altre nazioni. Ciò si verificò. Tant’ è che nel 1941, lo stesso Pontefice e i governi occidentali già sapevano dell’Olocausto. Papa Pacielli si ricordò di un’antica pergamena depositata negli archivi Vaticani. Nel 1647, nell’abbazia benedettina di Sankt Michael a Metten, nella diocesi di Ratisbona, in Germania, fu scoperto un manoscritto risalente al 1415 raffigurante l’immagine di San Benedetto da Norcia che nella mano destra teneva un bastone a forma di croce e nella mano sinistra reggeva la sua Regola per i monasteri. L’ antico manoscritto conteneva anche una sequenza di lettere maiuscole disegnate intorno ad una medaglia. Quelle lettere rappresentavano le iniziali di una preghiera esorcistica latina contro il demonio e le oscure forze del male. Era la medaglia di San Benedetto. Il 23 dicembre 1741, Papa Benedetto XIV approvò la medaglia, rinnovando la ratifica il 12 marzo 1742. Pio XII aveva anche molta stima di Padre Pio da Pietrelcina. Seguiva in prima persona tutti gli eventi di San Giovanni Rotondo. Il Pontefice sapeva che lo “stigmatizzato” del Gargano nel 1908 e nel 1909 aveva dimorato in due conventi della provincia di Avellino, Montefusco e Gesualdo, per completare gli studi di Teologia Morale. Il passaggio del frate sannita in terra irpina e un’antica abbazia costruita in un luogo ameno, a circa 1.270 metri di altitudine, protetta da San Benedetto da Norcia, ispirarono il Santo Padre. Pio XII diede subito ordine di spostare la Sindone dal capoluogo sabaudo. Pensò inizialmente di nasconderla tra le mura Vaticane ma anche lì temeva potesse cadere in mani sbagliate. Decise allora di far  trasportare segretamente la preziosa reliquia, di notte e in auto, da Torino a Mercogliano (Avellino), affidandola alla protezione delle sacre mura dell’abbazia di Santa Maria di Montevergine.  Il 25 settembre 1939 il “Sacro lino” fu nascosto sotto uno degli altari presenti nel meraviglioso complesso monastico, l’Altare del Coretto. Il “Sudario” di Cristo, dono della famiglia Savoia allo Stato Vaticano, rimase lì  protetto per ben sette anni, fino al 1946. Il re Vittorio Emanuele III sapeva dello spostamento della Sindone, Mussolini, invece, non venne mai informato. Nel settembre 1943 la città di Avellino fu bombardata dalle Forze Alleate. Le porte del Santuario di Montevergine si aprirono per ospitare sfollati, curare ed assistere numerosi feriti ed accogliere persone povere e bisognose di sostegno. Si temeva che il cenobio benedettino potesse essere colpito dalle bombe angloamericane, ma  non accadde. La Madonna e San Benedetto protessero l’abbazia. Le spoglie mortali del santo laziale sono sepolte nella incantevole abbazia di Montecassino, luogo in cui egli morì nel 547 dC. L’antico monastero, uno dei simboli della fede più conosciuti al mondo, distrutto in passato dai Longobardi, dai Saraceni, dal violento terremoto del 1341, dai rivoluzionari francesi e dai terribili bombardamenti del 15 febbraio 1944 ad opera degli Alleati, fu più volte ricostruito. La culla dell’Ordine benedettino e del monachesimo occidentale, “risorse” sempre dalle ceneri  più bella di prima. La Santa Vergine e il Santo di Norcia non permisero agli spietati generali del Terzo Reich di impadronirsi della Sindone. Nei giorni dell’occupazione   nazifascista in Italia, gli uomini del Fuhrer giunsero alle porte dell’abbazia irpina ed irruppero nel santuario benedettino. I monaci si riunirono in preghiera intorno all’Altare del Coretto iniziando a recitare il rosario. Ciascuno di essi stringeva nelle mani la medaglia di San Benedetto. I soldati tedeschi passarono a pochi metri dal “Sudario” di Gesù Cristo ma non si accorsero di nulla ed andarono via. A pochi chilometri di distanza dal Santuario di Montevergine, sempre in provincia di Avellino, vi è il comune di Montemiletto. La famiglia Colletti, di Pescara, ma originaria della “Cittadina della Leonessa” , il 23 ottobre 2022 donò alla Chiesa di Maria Santissima in Sant’ Anna una reliquia appartenuta a Padre Pio da Pietrelcina. Un pettine che lo “stigmatizzato” del Gargano consegnò all’avvocato Giovanni Colletti, suo avvocato personale, che curò le cause legali dell’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, quando il plesso era in costruzione. La reliquia fu consegnata dall’avvocato Domenico Colletti,  figlio dell’avvocato Giovanni Colletti, al parroco, don Umberto Oliva Zucaro. Presenti alla solenne cerimonia religiosa, l’Arcivescovo di Benevento, Monsignor Felice Accrocca e il sindaco del paese irpino, Massimiliamo Minichiello. L’avvocato Giovanni Colletti fu Terziario francescano e figlio spirituale di Padre Pio. Spesso si recava nella sua cella a fargli visita, possibilità che avevano solo alcuni confratelli e gli amici più vicini al santo di Pietrelcina. L’ avvocato Domenico Colletti, oggi 85enne, collabora attivamente con il Gruppo di Studio e Ricerche storiche su San Pio, insieme agli architetti, Dario Zingarelli e Gaetano Lombardi. Presente alla cerimonia di donazione del Sacro pettine di Padre Pio anche Mario Trematore.
L’ architetto pugliese, nato a Foggia 72 anni fa, nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1997, quando era funzionario dei Vigili del Fuoco in servizio presso il comando di Torino, salvò eroicamente la Sacra Sindone da uno spaventoso incendio divampato improvvisamente nella Cappella del Guarini. Un salvataggio che fece il giro del mondo. L’ architetto Trematore, nello stesso giorno della cerimonia della donazione del pettine di San Pio, visitò anche l’abbazia di Montevergine, soffermandosi in preghiera presso l’altare nel quale la Sindone rimase nascosta ininterrottamente dal 25 settembre 1939 al 28 ottobre 1946. Alla Chiesa di Montemiletto e al Santuario di Montevergine l’ex Vigile del Fuoco donò alcuni frammenti di vetro della teca che nel 1997 custodiva la reliquia più conosciuta della Cristianità.