Conosciamo i Balega (Congo Rd): la dote
Quando ha raggiunto la maturità fisica, il giovane deve sposarsi: sarà compito del nonno o del padre o degli zii che risultano come delegati a ciò dal clan, cercargli la ragazza che diventerà la madre dei suoi figli. Ai presenta così subito il problema della DOTE. Nella mentalità Lega, la dote non è mai stata concepita come un compra-vendita: io ti do mia figlia e tu me la paghi. Si trattava più che altro di una “caparra”, avente la funzione di colmare, in un certo senso, il vuoto lasciato dalla ragazza, affinchè l’equilibrio venisse conservato tra le due famiglie in questione. “Nella maggior parte dei casi, la dote ricevuta viene conservata gelosamente e utilizzata al fine di sposare il fratello della ragazza, arrivando così a una vera compensazione”. Il compito di cercarsi il partner non è affidato né al ragazzo né alla ragazza, ma sempre ai capi della famiglia: dal loro accordo dipendeva il futuro matrimonio. Il ragazzo e la ragazza sono chiamati ad accettare la decisione, senza possibilità di obiezione. Compito del giovane e della ragazza era vedersi e piacersi. Ai due padri spettava il compito di “litigare” al fine di raggiungere un accordo. Se i due ragazzi si trovavano e si piacevano, potevano influire sulla procedura dei responsabili, spingendo ad accelerare il versamento della dote e, anche, diminuirne il montante. Da qui il lamento del padre della ragazza. La ragazza non può pronunciarsi sulla consistenza della dote. Non è il futuro marito a cercarsi una moglie, ma suo padre. E parte. Guarderà fino a rendersi conto che tale ragazza potrebbe andare bene per suo figlio. Questi la dovrà sposare, “senza badare se è nera oppure chiara, se è bella o brutta, se è grassa o magra”. Dopo i primi approcci tra i due capi famiglia, si procede a versare la dote. La dote viene versata in 3 tappe diverse, seguendo una procedura ben consolidata dalla tradizione. I primi contatti per gli accordi, chiamato ubalila, prevedono di vedere la ragazza e di mettersi d’accordo sul montante. Si procede quindi al versamento della dote vera e propria. La PRIMA tappa è chiamata yò-èla, la decisione è presa. Si esce dalle semplici trattative per porre un segno reale di una volontà decisa ad andare avanti. Il montante per la prima tappa consiste in 4 mizaba (ogni muzaba è composta da due metri circa di perle per un valore complessivo di circa 8,00 euro) e quattro capre. Non c’è un lasso di tempo stabilito, entro il quale si deve effettuare il versamento della dote nelle sue varie tappe. Tutto dipende dalla disponibilità o meno di beni da parte della famiglia del futuro sposo. Alla prima, segue la SECONDA tappa, chiamata ishibya bitunda : la ragazza viene kubanda “prestata” e va per un po’ di tempo in casa delle futura suocera perché venisse conosciuta nel suo carattere e nelle sue diverse potenzialità, soprattutto in ordine ad avere una casa e una famiglia. Di massima importanza è l’intesa, per una vita futura insieme, tra la nuora e la suocera. In quell’occasione si versano 4 mizaba, due capre e due bracciali di rame o d’avorio. Si procede poi alla TERZA e ultima tappa, detta ilomba mu-ashana “avere la ragazza sposa”. Per quell’occasione si versano 5 capre, due delle quali servono per il banchetto, una muzaba e un bracciale. In più si porta una capra come regalo alla madre della ragazza. Solo dopo l’arrivo dei bianchi, si incominciò a dare pentole, coperte, lampade e soldi. Compito del padre e sbrogliarsela per trovare tutto il necessario, ma tutto il clan gli è di sostegno. La ragazza tuttavia non va nella famiglia estesa, ma dal giovane, nella sua casa. Presso tribù vicine i costumi sono diversi. Presso i banyaMulenge, ruandesi emigrati in Congo da più di un secolo, ad esempio, la sposina passa la prima notte dal fratello maggiore del marito. Ciò non avveniva e non avviene presso i baLega. La dote tuttavia creava e crea in pratica il pericolo delle schiavitù della donna, almeno fino a quando non diventa madre di più figli.