Identità di Paestum

 Aurelio Di Matteo

L’identità di Capaccio-Paestum non è determinata, come da consolidata immagine turistica, solo dai templi e dall’area archeologica, ma anche da un ricco paesaggio rurale e da una connessa architettura unica nel suo genere. È un’identità, questa, che le deriva dalla storia sia dell’era cristiana sia della modernità succedute a quella classica. Entrambe sono un’eccezionale ricchezza culturale e un inestimabile patrimonio antropologico che altrove hanno rappresentato il fattore fondamentale del destino economico di un territorio. Ora tutto questo corre il rischio di scomparire a causa della fredda e mercantile logica contabile che spinge la Regione Campania a dismettere il suo patrimonio in favore di privati che di certo non avranno alcuno scrupolo a demolire e a trasformare un retaggio storico e artistico in “oggetto” commercialmente redditizio. La campagna di Capaccio è ricca di queste testimonianze, quasi tutte in condizione di degrado e di abbandono. Molte di esse sono proprietà privata. Qualcuna, forse la più bella e la più antica, sommersa da rovi, erbacce e quant’altro, insiste su una parte dell’antica Poseidonia ancora in mano a privati o coltivata a granturco. Gilllo Dorfles ogni estate lancia un accorato e indignato appello per un qualche intervento che voglia liberare l’area archeologica dall’incuria e dallo sfruttamento improprio e sacrilego. Salvaguardare il mondo rurale e la tipicità del suo paesaggio significa valorizzare e conservare la cultura e la storia di un territorio, il cammino della sua civiltà e il progresso economico e sociale di una comunità. E la storia vera non è espressa soltanto dai castelli, dalle regge o dalle cattedrali, ma particolarmente dalle sedimentazioni e dalle testimonianze delle attività produttive, delle piccole strutture abitative, delle stalle, dei locali per trasformare i prodotti, dei canali, dei sistemi d’irrigazione, insomma da quell’insieme che costituisce il vissuto di un’epoca e di un’area antropologicamente caratterizzata. Gromola, come Spinazzo e Cafasso forse rappresentano la vera storia di Capaccio, quella che ancora oggi si può leggere nella struttura sociale che ne è derivata, oltre che nella memoria di molti attempati testimoni. Il lungo cammino della Riforma agraria, per certi versi cominciata con i Borboni e conclusa non certamente in via definitiva ed esaustiva negli anni cinquanta del decorso secolo, ha segnato la vita di Capaccio. Senza di essa non ci sarebbero i borghi più belli e tipici di questa realtà territoriale che urbanisticamente e antropologicamente si può connotare come la “città dei venti borghi”. Ebbene dopo la decisione della Regione il rischio concreto è che questa identità, già compromessa da superfetazioni edilizie, dal degrado dell’abbandono e dalla cecità amministrativa, sparisca del tutto. Il borgo di Gromola, oggi socialmente e urbanisticamente desertificato, ignorato anche da ogni intervento di ordinaria manutenzione stradale, ha nella sua struttura e nella sua edilizia un potenziale patrimonio di storica identità che, opportunamente restaurato e con alcune destinazioni di uso pubblico, potrebbe diventare di per sé un grande attrattore turistico. Esso unisce la storia produttiva, con la settecentesca bufalara, la storia socio-economica con gli insediamenti della riforma, la storia dell’edilizia rurale, la semplicità funzionale della struttura urbanistica, dove non mancano punte di rilievo architettonico come la Chiesa di Santa Maria Goretti, opera dell’arch. Ezio Caizzi. La Bufalara opportunamente restaurata potrebbe rappresentare il luogo dove conservare e mostrare la lunga e tormentata storia dell’economia agricola dal feudalesimo alla Riforma. Di fronte alla decisione della Regione, sarebbe ora che gli Enti pubblici interessati, a cominciare dal Comune, prendessero finalmente coscienza che non c’è futuro turistico e sviluppo economico senza il recupero e la valorizzazione del territorio come res tipica e attivassero interventi, anche di acquisizione, per riannodare il legame urbanistico, sociale e umano della “città dei venti borghi”, integrando, attraverso una rete concreta e virtuale, il complessivo percorso storico-culturale-estetico-ambientale, passato e presente, tradizioni e vita contemporanea, archeologia e ruralità, artigianato e moderne tecnologie, memoria e futuro.