Cava de’ Tirreni: Senatore “La città che vorrei…”
Come vorrei fosse questa nostra Italia e questa nostra città mai tanto amata, ma, ahimè, mai tanto maltrattata e bistrattata! Rispondo come rispose l’Imperatore Adriano tantissimi anni fa “Trahit sua quemque voluptas: ciascuno la sua china; ciascuno il suo fine, la sua ambizione se si vuole, il gusto più segreto, l’ideale più aperto. Il mio era racchiuso in questa parola: il bello, di così ardua definizione a onta di tutte le evidenze dei sensi e della vista. Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo. Volevo che le città fossero splendide, piene di luce, irrigate d‘acque limpide, popolate da esseri umani il cui corpo non fosse deturpato nè dal marchio della miseria o della schiavitù, nè dal turgore d‘una ricchezza volgare; che gli alunni recitassero con voce ben intonata lezioni non fatue; che le donne al focolare avessero nei loro gesti una sorta di dignità materna, una calma possente; che i ginnasi fossero frequentati da giovinetti non ignari dei giochi nè delle arti; che i frutteti producessero le più belle frutta, i campi le messi più opime. Volevo che l‘immensa maestà della pace romana si estendesse a tutti, insensibile e presente come la musica del firmamento nel suo moto; che il viaggiatore più umile potesse errare da un paese, da un continente all‘altro, senza formalità vessatorie, senza pericoli, sicuro di trovare ovunque un minimo di legalità e di cultura; che i nostri soldati continuassero la loro eterna danza pirrica alle frontiere; che ogni cosa funzionasse senza inciampi, l’officina come il tempio; che il mare fosse solcato da belle navi e le strade percorse da vetture frequenti; che, in un mondo ben ordinato, i filosofi avessero il loro posto e i danzatori il proprio. A questo ideale, in fin dei conti modesto, ci si avvicinerebbe abbastanza spesso se gli uomini vi applicassero una parte di quell’energia che va dissipando in opere stupide o feroci. E durante l’ultimo quarto di secolo, la sorte propizia mi ha consentito di realizzarlo in parte. Arriano di Nicomedia, uno degli spiriti più eletti del nostro tempo, si compiace di rammentarmi i bei versi nei quali il vecchio Terpandro ha definito in tre parole l’ideale di Sparta, il modus vivendi perfetto, sognato, e mai raggiunto, da Lacedemone: la Forza, la Giustizia, le Muse. La Forza stava alla base, e senza il suo rigore non può esserci Bellezza, senza la sua stabilità non v’è Giustizia. La Giustizia componeva l‘equilibrio delle parti, le proporzioni armoniose che nessun eccesso deve turbare. Ma la Forza e la Giustizia non erano che uno strumento agile e duttile nelle mani delle Muse: consentivano di tener lontane tutte le miserie e le violenze come altrettante offese al bel corpo dell’umanità. Ogni nequizia era come una nota falsa da evitare nella armonia delle sfere”- (Memorie di Adriano). Questa è l’Italia che vorrei, questa è la Cava che desidererei e che mi accingo, con tantissimi amici, a disegnare e costruire.
Avv. Alfonso Senatore