Capaccio: salvare il Museo archeologico!
Che il Museo sia in uno stato di precoma e che del Parco archeologico stia rimanendo solo il ricordo è costatazione tanto ovvia quanto incontrovertibile. Qui, a Paestum, si ha la sensazione – e non solo sensazione!- che il Museo archeologico più che una risorsa sia visto dal governo locale e, di conseguenza, dalla Comunità come un peso del quale sarebbe bene che ci si liberasse. Sarebbe, invece, ora che il Museo si riconvertisse in “impresa museale” com’è avvenuto in altre nazioni, che hanno visto un continuo incremento degli ingressi e un attivo di bilancio. A differenza di molti altri Musei italiani, per il nostro esiste ancora il problema fondamentale: come renderlo più accogliente attraverso la disponibilità di spazi più ampi. I visitatori del Museo archeologico decrescono sempre più, fino a raggiungere l’esigua media di poco più di una diecina il giorno, nonostante “custodisca” (è il caso di dirlo!) reperti unici al mondo. A fronte di circa 300 lastre dipinte soltanto 25 sono esposte al godimento dei visitatori, senza contare le stupende tombe, una delle quali, forse la più bella, ritrovata lo scorso anno grazie all’azione della Guardia di Finanza e giacente nei sotterranei! Abbandonando la peregrina idea di costruirne uno nuovo a Capaccio Scalo, non sarebbe male che i nuovi (troppi!) candidati a Sindaco si ponessero questo problema prima di pensare a cucire alleanze solo per vincere le elezioni. Le soluzioni potrebbero essere due. La prima la ipotizziamo qui, l’altra in un prossimo intervento. A distanza di circa 300 metri c’è l’ex fabbrica Cirio che potrebbe essere una concreta risposta, celere e non eccessivamente gravosa. Si tratta di mettere insieme una soluzione architettonica e una imprenditoriale per elaborare un nuovo modello culturale di fruizione, di tutela e di sviluppo. Il modello in base al quale sono ancora gestiti i nostri musei s’ispira a una società a struttura elitaria, culturalmente e socialmente, in grave ritardo per un contesto caratterizzato dalla democrazia relazionale, dal consumo culturale di massa, dalla globalizzazione concettuale e fisica. C’è urgenza di elaborare una nuova cultura e un nuovo modello di gestione museale che mettano insieme, senza scandalizzarsi, le esigenze dei “mercanti del turismo” con la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale. Il Rapporto Figel 2006, commissionato dalla Commissione europea, mostra con chiarezza la rilevanza che ha il settore della cultura e come le industrie culturali siano uno dei capitali più importanti delle economie delle nazioni, superiori anche al settore manifatturiero o a quello automobilistico. Le offerte culturali non sono più da considerare servizi accessori, ma gli anelli fondamentali e gli strumenti essenziali nella catena del valore, producendo ricchezza, crescita economica, sociale e qualità della vita. Il patrimonio culturale e la cultura in genere devono essere considerate, valorizzate e valutate nell’ambito della disciplina economica. Senza scomodare le analisi del secolo decorso di Adorno e Horkheimer, ai quali si deve la dizione “industria culturale”, come evidenzia la ricerca dell’Istituto G. Tagliacarne, rimane assodato che la cultura sia ormai diventata una delle principali variabili esplicative del ritmo di espansione del sistema e come essa si sia a pieno titolo inserita fra le teorie dello sviluppo. Ne è una prova il sostegno invocato dalle principali scuole di pensiero all’economia della conoscenza, la quale, sotto forma di capitale umano, costituisce uno dei principali input immessi nel sistema produttivo. Le attività economiche collegate al patrimonio culturale e da esso coinvolte a diversi livelli sono molteplici e non sempre valutate nella connessione integrata riferita allo sviluppo socio-economico, in particolare ai Musei e ai Beni archeologici: industria culturale (editoria, audiovisivi, multimedialità), enogastronomia e produzioni tipiche, produzioni di natura industriale e artigiana, architettura e edilizia di riqualificazione, alberghi, ostelli, agriturismi, villaggi turistici, il vario e molteplice mondo della ristorazione, ecc. L’archeologia e il connesso turismo archeologico, per troppo tempo gestiti da ambienti elitari e finalizzati alla sola conoscenza culturale, per poter sussistere ed essere strumenti di sviluppo economico non possono non aprirsi al territorio, abbandonare la sola logica accademica che ispira gli attuali gestori dei Beni culturali e porsi l’obiettivo di una diversa modalità di fruizione dei Musei e dei siti archeologi, fruizione di massa e non più elitaria. Per lo sviluppo complessivo della città di Capaccio-Paestum solo un piano integrato di attività culturali può avere valore, per modificare anche l’immagine del Museo, trasformandolo da “luogo sacro”, inaccessibile ai più, quasi una “collezione” che conserva ed esibisce una cultura mummificata, a istituzione aperta e flessibile, attraverso un complesso di esperienze vive a uso della vita quotidiana delle persone comuni e dei turisti di ogni livello di studio e di ceto. Se la finalità è quella dello sviluppo locale la promozione di un bene culturale deve prestare attenzione alla comunità locale e al suo coinvolgimento, affinché lo senta, lo tuteli e lo valorizzi come parte di sé, quale insieme di valori della sua identità socio-civile.