Sale gioco ovunque: e perche’ non ci aggiungiamo le sale da sballo?
Nella Riviera Ligure è un’emergenza silenziosa, ma in tutta Italia crescono vertiginosamente le aperture delle cosiddette sale da gioco. A Rapallo non si riesce a capire chi sia a favore e chi contro questi nuovi commerci, fatto sta che chi governa la città ha evidentemente autorizzato l’apertura di quattro locali. Siccome tra un mese si vota, il plauso o il disprezzo verso le nuove attività imprenditoriali variano a seconda del tasso di gradimento dell’opinione pubblica. Persino nella periferica e sonnacchiosa Casarza Ligure vogliono aprire una sala giochi e, pur abitandoci, non mi riesce di capire chi realmente la voglia e chi no. L’unica evidenza è che la casa di riposo della città è ancora chiusa dopo quattro anni dall’inaugurazione (sic!): il motivo è semplice, bisogna dare la gestione ai soliti noti, senza scampo. Intanto un edificio costato milioni di euro sta marcendo alla luce del sole e presto si batterà cassa per ristrutturarlo. Questo solo per citare realtà a me note, con l’amarezza di constatare il silenzio più assoluto della ASL 4, del suo Direttore e di tutte le cosiddette associazioni in difesa del cittadino sulla questione. E dire che il Dipartimento delle Tossicodipendenze conosce bene la dipendenza da gioco d’azzardo, e chi si occupa di igiene mentale ben sa, o meglio dovrebbe ben sapere, quali e quanti rischi comporti per la salute del singolo e della collettività una simile “offerta” nel mercato dell’azzardo. Siamo in Italia e come si ricoprono ruoli di spicco è cosa nota, il Trota docet, per cui non vi è molto di cui stupirsi di tale scarsa prevenzione: potremmo persino ipotizzare che vi siano da creare ad hoc nuovi posti di lavoro nella cura di chi oggi è sano ma domani non lo sarà. In tempi di crisi economica e di grande incertezza sociale, in modo solo apparentemente paradossale, i soggetti più deboli e fragili sono compulsivamente spinti verso le possibilità di guadagno facile. Poi, proprio come avviene in tutti i meccanismi di dipendenza, si innescano tutta una serie di dinamiche ossessivo-compulsive e di alterazioni nella chimica neurale che spingono verso comportamenti sempre più estremi. Non va assolutamente sottovalutata la percezione che il soggetto ha di fronte al placet istituzionale verso l’apertura delle sale da gioco: se i Comuni concedono le autorizzazioni, vuol dire che non vi è nulla di male. Questo è il pensiero che legittima il giocatore. Anche lo Stato ha la sua buona parte di responsabilità, se è vero che l’industria del gioco è la terza voce sul libro delle entrate. Non a caso il sibillino “Gioca il giusto” che chiude gli spot sui giochi è volutamente ambiguo: che significa “Giocare il giusto”? Nulla, poiché il concetto di giusto è aleatorio e non quantificabile, al pari del concetto espresso nell’altro avvertimento “Gioca senza esagerare”. Poiché l’impatto sulla salute di una società è esattamente lo stesso, è spontaneo chiedersi come mai lo Stato non abbia ancora concesso l’apertura di quelle che potremmo chiamare “Sale da sballo”, sul modello olandese, dove acquistare legalmente quelle sostanze che poi circolano liberamente il venerdì ed il sabato sera senza troppi problemi. Che differenza c’è, alla fin fine? Provocatoriamente, ma in modo concreto, rispondo nessuna. Conoscendo bene la genesi delle dipendenze e la loro distruttività, ribadisco nessuna. Cambia la forma, nel senso che un giocatore dipendente è meno appariscente di un tossicodipendente, ma la sostanza è la stessa. Ma in Italia è importante l’apparenza salva, l’essenza, beh, quella è un altro paio di maniche. O mi sbaglio?