Donne allo specchio: l’inverno senza fine delle donne egiziane

Giovanna Rezzoagli

E’ da poco trascorso un anno da quando ebbe inizio, anche per l’Egitto, la cosiddetta “Primavera Araba”. Il vento di cambiamento che aveva iniziato a soffiare impetuoso dalla Tunisia era giunto anche nel Paese dei Faraoni, facendo prima vacillare e poi crollare l’ultimo dei potenti: il Presidente Hosni Mubarack. Vi erano alche loro, le giovani e giovanissime donne egiziane, a protestare in piazza Tahrir contro il regime, quando esplose la violenza la notte del 2 febbraio 2011. Ci sono ritornate su quella piazza, per chiedere il diritto allo studio, ai pari diritti, ad un’esistenza degna di questo nome. Dopo un anno, sui diritti delle donne sembra essere sceso un gelo profondo. Proprio nel caldo Egitto rischia di essere approvata dal Parlamento filo islamista una legge che getterà il futuro delle donne nelle stesse condizioni di chi visse il medioevo europeo. Tra le norme più critiche, la possibilità di sposarsi a quattordici anni, abbassando quindi considerevolmente la soglia minima, ma anche eliminare il diritto allo studio ed al lavoro. Vi è poi una norma che è avvolta ancora nel limbo dell’incertezza, di cui si trova riscontro sfogliando alcuni giornali anche on line, ad esempio Al Arabiya, e di cui si trova invece smentita su altri, come accade sul Daily Mail. Parrebbe introdotta la possibilità per il marito appena vedovo, di avere un ultimo rapporto sessuale con la moglie, a condizione che avvenga entro le sei ore dal decesso. Sempre con i dovuti distinguo, la norma altro non farebbe se non affermare un diritto che esisterebbe nella cultura più radicale dell’Islam. Diritto che, in verità, sarebbe reciproco, anche se non occorre certo un medico per affermare che tale evento è fisiologicamente impossibile. In un Paese dilaniato da scontri tutt’altro che pacifici, queste notizie potrebbero essere state diffuse ad arte per inasprire odio e contrasto. Vere o false che siano, queste ipotesi sono comunque lo specchio di una cultura che si ostina a vedere la donna  solo come un oggetto di cui potere usufruire a piacimento, violando il suo corpo persino dopo la morte. Una cultura che vuole il marito padrone della moglie in tutto e per tutto. Nella cultura occidentale questo “rapporto d’addio” verrebbe configurato come manifestazione di necrofilia, ovvero uno dei disturbi del desiderio sessuale appartenente alle cosiddette parafilie. Parrebbe essere un disturbo che colpisce esclusivamente il maschio, non risultando casi conclamati di necrofilia al femminile, almeno nella letteratura a me nota. Resta, di tutto ciò, l’amara evidenza che la figura femminile è sempre vista in subordine a quella maschile, all’interno delle grandi religioni monoteiste e conseguentemente nelle teocrazie, ma anche nei sistemi democratici d’ispirazione religiosa. Disquisire sulle reali motivazioni antropologiche che stanno alla base di questi comportamenti ora sarebbe fuorviante, ma ne esistono di precise e sono attinenti alla sfera procreativa. Detto ciò, la speranza per le donne egiziane è che arrivi presto un sole splendente ad illuminare i loro diritti di donne, di vivere la propria vita come meglio credono, di sposarsi e procreare se è quello che esse vogliono o di vedersi rispettate in caso contrario. Nessuna donna è nata per essere subordinata a nessuno, poco ma sicuro. E poco ma sicuro che nessuno ha il diritto di violentare nessuna donna, sia essa bambina, adulta o anziana, e sia essa viva o morta.

5 pensieri su “Donne allo specchio: l’inverno senza fine delle donne egiziane

  1. Sulla stampa odierna il governo egiziano tenta di correggere il tiro …
    certo che già avere prospettato un simile problema la dice davvero lunga. Chissà se anche gli altri “monoteisti” hanno disquisito dell’argomento. In fin dei conti la misoginia è l’elemento che le accomuna tutte.

  2. Gentile Corinna, come ho evidenziato la notizia deve essere ancora confermata ed esiste il dubbio che sia stata diffusa per fini politici. Questo nulla toglie alla tradizione più integralista dell’Islam che non rispetta la dignità della donna. Purtroppo non conosco più di tanto la storia delle religioni, per cui ignoro se nelle altre vi sia una qualche forma di analogo “rituale”. L’unica religione, che poi è più corretto definire filosofia spirituale che mi risulti rispettare maggiormente la donna è il Buddismo, ma anche in quel caso i momasteri non sono certo aperti per le donne. Il problema è di natura antropologica, e coinvolge tutte le civiltà. L’uomo ha da sempre avuto bisogno di controllare la trasmissione della propria linea genetica, e quanto sarebbe stato meglio che alcune si fossero estinte…, l’unico sistema che ha escogitato è quello di limitare il più possibile la libertà femminile. E’ aberrante e triste, nonchè specchio di tutta la grande insicurezza che domina il genere maschile, però corrisponde ad una psicodinamica concreta.

  3. Signora Giovanna, esistono monache buddiste e di alcune di loro si narra in un delizioso libriccino che consiglierei ai miopi di spirito che da integralisti cattolici scrivono di Buddismo.
    Con stima
    Maurizio C.

  4. Dimenticavo, Signora. Monache Buddiste fondarono monasteri e divennero “Maestri Zen”. Qui da noi un buon Prete (con la P maiuscola) che consentì ad una Suora (con la S maiuscola) di somministrare la comunione ai fedeli ebbe guai seri e andò presto a riposo. La Suora trasferita in altro comune.
    Chissà se Gesù ha voluto ciò o la “spirito santo” in qualche illuminato concilio.
    Come vede il rispetto della Donna sta nel come il senso religioso interpreta quel razionale senso di fratellanza che è alla base del successo evolutivo di quel primate contradditorio che sta ponendosi problemi “fini” come in Egitto (e nell’Islam in genere. Non escludendo cattolici/apostolici ed Ebrei ortodossi.
    Con stima
    Maurizio C.

  5. Gentile Signor Maurizio, grazie per le sue precisazioni. Nella mia ignoranza non sapevo dell’esistenza di monache buddiste. Sono contenta di apprendere che in qualche angolo di mondo la civiltà esiste. Il Tibet deve essere un luogo meraviglioso dove vivere, se solo la Cina restituisse a questo popolo pieno di dignità la sua autonomia. Penso spesso con vivo dispiacere a quei giovani monaci che si immolano dandosi fuoco per difendere la loro dignità, emi rammarica che la loro morte non trovi spazio sulla nostra stampa, se non in qualche trafiletto. Bisogna sfogliare le edizioni online di giornali esteri per apprendere queste notizie e anche per avere una visione molto più disincantata di ciò che avviene a casa nostra.
    Grazie per i commenti

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