Dove va il mondo?

Giuseppe Lembo

La crescente complessità dei problemi del mondo, porta intellettuali, giornalisti, attenti osservatori del sociale a darsi delle risposte possibili; tanto, soprattutto per dare un contributo guida a percorsi che non possono assolutamente essere lasciati in balia di se stessi e/o di chi strumentalmente ne sceglie il cammino, guidandolo. Dove va il mondo è un tema che prende di sé e diventa materia di studio ed approfondimenti per tanti, a seconda della direzione da seguire; scende in campo l’economista e sono tanti, se alla base della domanda a cui dare una risposta è l’economia. Ma oltre all’economista, su dove va il mondo, si interroga anche il sociologo, l’antropologo, il comunicatore, il filosofo e l’uomo di pensiero più in generale. Circa venti anni fa fu Francis Fukuyama ad accendere un forte dibattito negli Stati Uniti, scrivendo “La fine della storia”.

Oggi il tema su cui in tanti si interrogano è quella della crisi in cui si trova il mondo, con crescente disagio antropico per gli uomini della Terra, sempre più privati di certezze e sempre più esposti a situazioni sfuggenti nei confronti delle quali cresce l’importanza umana, dove c’è una decrescita diffusa della condivisione, per effetto di un IO MONDO che , sempre più solo con se stesso, sa sempre meno agire ed interagire con gli altri, pensando a soluzioni possibili attraverso la forza del NOI condiviso. Sulla crisi, nelle sue diverse sfaccettature (umane, sociali, antropiche, culturali, economiche) hanno scritto, tra gli altri, il Nobel Joe Stightz “Bancarotta”, Loretta Napoleoni “Il contagio”, Norie Rubini e Stephen Mihm “La crisi non è finita”, Aldo Giannuli “2012 la grande crisi”. L’ultimo in ordine temporale, è il libro di Daron Acemoglu economista del Mit e James Robinson, docente di Scienze Politiche al Harvard “Perché le nazioni falliscono”. Ancora crisi; ancora economia; ancora forte disagio umano. La risposta che ci viene dalle 500 pagine di analisi di storia politica, economica e sociale di molte nazioni è tutta contenuta in questo loro percorso di pensiero estensibile ad ogni possibile angolo della Terra. Le nazioni fioriscono se sono “inclusive”, ossia in base alla loro diretta capacità di sviluppare politiche e istituzioni condivise, con capacità di offrire a tutti pari opportunità; di incoraggiare le innovazioni e di distribuire il potere. Le nazioni invece non fioriscono ma sono destinate a fallire, se sono “estrattive”,ossia quando concentrano ricchezza e potere nelle mani dei pochi, danneggiando così i più che ne vengono esclusi e così, tenuti lontani. Anche in questo libro, come in altri libri americani dello stesso filone, viene attentamente e fortemente sottolineato il ruolo primario delle istituzioni politiche nello sviluppo di un’economia sostenibile. Molte delle cose rovinose del mondo  in ogni singolo Stato, portano a deragliamenti spesso catastrofici, con grave danno per i più costretti a subirne le conseguenze.

Spesso ed inopportunamente si attribuiscono responsabilità di una crisi economica al costume di una società. Non è così; non c’entra proprio niente. Le cause non sono della società che ne subisce purtroppo le conseguenze, ma della politica che, con scelte sbagliate, ne compromette il corso.

Le democrazie per essere veramente tali e per evitare al mondo in tutte le sue parti di correre dei gravi rischi, devono avere il massimo della partecipazione possibile; non possono essere, come attualmente nel nostro Paese, un sistema economico e sociale ad accesso limitato. In quanto tali, non sono delle vere e proprie democrazie, perché prive dell’humus della partecipazione, necessario al protagonismo della gente nelle scelte e nelle decisioni importanti. Il libro di Acemoglu e Robinson, sperando che prima o poi venga pubblicato in Italia insieme a quello precedente altrettanto inedito nel nostro Paese “L’origine economica delle democrazie e delle culture”, ci è utile guida per quelle modifiche assolutamente necessarie ai cambiamenti del nostro Paese, dove, come suggeriscono in via di principio i due autori, servono le riforme e serve ridurre il peso eccessivo ed opprimente della burocrazia e dove è, altrettanto necessario, pensare a cambiare, per evitare che la politica e l’economia si fossilizzano a tal punto, come ci sta purtroppo capitando, da creare condizioni di fallimento e quindi di crisi senza ritorno della democrazia che ha bisogno di rigenerarsi, arricchendosi di nuovi valori e di nuova umanità. Secondo gli autori l’eccesso di disuguaglianza dovuta, tra l’altro, all’incapacità del libero mercato, come nel modello Wall Sreet, di autogovernarsi, ha come inevitabile sbocco finale il totalitarismo, che porta ad annullare calpestandole, le libertà civili ed i diritti umani. Battere la pericolosa crisi della democrazia, un danno dietro l’angolo per tanti che magari non se l’aspettano, ma che sono stati deboli ed accondiscendenti nella condivisione silenziosa del potere è, come ci viene anche dal messaggio di “Perché le nazioni falliscono”, un impegno da rinnovare assiduamente in noi stessi, rendendoci utili per vivere meglio ed in libertà e per meglio garantire insieme la vita e la libertà degli altri, i diritti umani assolutamente irrinunciabili, in quanto parte della nostra vita di uomini liberi sulla Terra. Purtroppo il totalitarismo che calpesta libertà e diritti umani non è assolutamente lontano da noi; può essere dietro l’angolo e se non sappiamo vigilare come  si conviene, può impossessarsi di noi e, togliendoci la libertà, renderci schiavi dei pochi che si affannano a tenersi stretti nelle loro mani ricchezza e poteri, a tutto danno dei più. Tanto non deve assolutamente accadere; è con la partecipazione che possiamo batterci e battere la pericolosa crisi in cui vive il nostro Paese, garantendoci come uomini liberi e democratici, forti della nostra cultura, dei nostri valori, dei nostri saperi.