La preghiera di Pompei

 

di Rita Occidente Lupo

La recita della corona, pratica noiosa. Devozionalistica.  Fuori tempo. Monotona tiritera, nemica della concentrazione. Reiterata formula, che sgrana madreperla o plastica, lasciando spazio alla matta di casa, la fantasia, di scorrazzare nei pensieri più vaghi. Così la pensano tanti che, dinanzi alla preghiera mariana per antonomasia, insegnata dalla stessa Vergine, ai piedi dei Pirenei all’umile Bernardette. E che nel ricomparire a tre pastorelli, a Fatima, in pieno primo conflitto mondiale, rafforzò. Come occasione per impetrare grazie. Per ricevere favori celesti. Per scongiurare pericoli e calamità. Per impetrare benessere e pace. Di qui, per dirla con Bartolo Longo, “catena dolce che ci rannodi a Dio”. Manca il tempo alla nostra giornata, da dedicare a tale pia pratica di culto.  Deficita la capacità di raccoglimento. La voglia di pregare. Oggi, il nostro tempo, fa sempre più a meno dell’orazione. Non ne avverte l’esigenza. Tranne dinanzi ai pericoli. Allora scatta il panico, che afferra il soprannaturale, fino a pochi istanti prima, accantonato. Poco inserito nella propria dimensione vitale. Una preghiera, sillabata dall’insicurezza interiore. Dalla consapevolezza dei propri limiti, dinanzi all’ imprevisto. Però ci sono delle occasioni e dei luoghi, in cui sembra che il cielo si tocchi con la terra. Ed in cui sgorga spontanea, anche a capo chino o nel proprio cuore, la preghiera con le parole che ognuno usa secondo la circostanza. Secondo la sua capacità di credere e di rapportarsi al soprannaturale. Pompei, con la supplica ben due volte all’anno, la prima domenica di Ottobre e l’8 maggio, polarizza l’attenzione sul culto mariano. Giammai oscurato in tale Valle. In un tempio in cui la carità ha realizzato opere di solidarietà per gli ultimi: dai carcerati, a quelle che un tempo erano le orfanelle. In un luogo sfigurato dall’eruzione vesuviana, rimandata dagli scavi archeologici. Proprio in tale città, ammantata di misticismo senza tramonto, il culto alla Regina degli angeli. Ed i pellegrinaggi. I sacrifici di tanti, che ancora a piedi, in segno penitenziale, raggiungono la Basilica. Tutti con un fardello in cuore. Una pena da deporre ai piedi dell’altare. Una  grazia da implorare. Tra lacrime di commozione e ringraziamento. Ancora viva la pietà popolare, che a Pompei tasta il cuore della religiosità. In comunione spirituale col Santo Padre, da Pompei, ancora unanime la supplica coram populi, per le esigenze dell’umanità. Specialmente per l’Abruzzo, ancora agitato da tante scosse!