Grasso/Travaglio: come litigare in TV
Mentre si decidono i destini dell’Italia con l’incarico esplorativo concesso a Pierluigi Bersani dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, tiene banco mediaticamente una polemica che vede coinvolto uno dei personaggi più in vista degli ultimi giorni: Piero Grasso, neo eletto presidente del Senato. In sintesi: l’esponente del Partito Democratico è stato chiamato in causa da Marco Travaglio nel corso dell’ultima puntata di “Servizio Pubblico” su La7, quando il giornalista lo ha accusato di collusioni politiche lungo la sua carriera giudiziaria e dipingendolo come una persona furba che “non è quel che sembra”; Grasso intervenuto telefonicamente ha invitato Travaglio a un duello televisivo rifiutando però di aspettare un’intera settimana, ovvero la successiva puntata del programma, prima della risposta. L’arena televisiva va dunque a toccare un nome al centro della politica odierna trascinandolo nelle sue dinamiche. Proprio la visibilità attuale dell’ex Procuratore Antimafia è centrale nella questione: Grasso è stato presentato come nome PD atto a raccogliere un apprezzamento totale presso il Parlamento in virtù dell’onestà e dell’etica posseduta. Missione riuscita dato che il PDL non ha mostrato tanto astio sul nome in sé, e nel bunker dei cinque stelle Grasso è stato definito una “foglia di fico”, ovvero qualcuno di “pulito” dietro cui nascondere le colpe di un partito percepito come complice del malaffare italiano. La prima domanda in certe polemiche è la solita: ne vale la pena? Fa bene Piero Grasso a intervenire scegliendo di entrare nel dibattito? In altri contesti magari sarebbe stato auspicabile lasciar passare, se i politico arrivassero in pompa magna a ogni editoriale al veleno rivoltogli contro, i mezzi di informazione sarebbero pieni di botta e risposta. Oggi però, con tutta la costruzione retorica che la sua elezione ha comportato, male non fa Grasso a voler fare chiarezza sul proprio operato ai tempi in cui era un magistrato con incarichi di alto livello. Del resto è proprio questa una delle posizioni emerse in Rete: se Grasso non ha nulla da nascondere dibatta, accetti il confronto. È un ragionamento che in eventualità del genere viene sempre fuori, ma soprattutto porta con sé un’altra conseguenza logica: se non dibatte, allora ha qualcosa da nascondere. Grasso dunque fa bene a intervenire, evitando di prestare il fianco a eventuali critiche nel momento in cui, con l’ascesa di Grillo e del suo movimento, una delle tematiche forti è la trasparenza. Inoltre il contrattacco inaspettato funziona sempre, come Berlusconi ebbe a dimostrare proprio nell’arena di Santoro. La seconda domanda: dove? Chi accetta di giocare fuori casa mostra coraggio, e infatti c’è già chi critica la scelta di Travaglio di rifiutare il confronto se non nello stesso “Servizio Pubblico” del giovedì. In realtà, Travaglio non ha da perdere nulla: da anni c’è chi lo considera l’unica voce valida del giornalismo italiano, chi lo considera un cialtrone, chi scinde metodo e posizioni, chi semplicemente ne valuta l’opinione di volta in volta…a conti fatti le constatazioni sul suo conto rimarrebbero le stesse. Stabilito ciò non ha motivo Travaglio di accettare confronti in altri salotti televisivi, se Grasso vuol replicare faccia a faccia deve presentarsi lì dove le accuse sono state mosse. Utile o meno la querelle rivela un nuovo format televisivo che in epoca di partecipazione costante rischiamo di vedere sempre più spesso. È evidente che i tempi e le modalità di presentare la politica ai cittadini devono adeguarsi alle nuove possibilità, prima però vanno stabilite le regole sul come dibattere sul piccolo schermo.