Un nuovo libro della storia infinita del Mezzogiorno d’Italia
La pubblicistica tra storia, cronaca e leggenda sul torto subito dal Sud post-unitario, sembra assumere sempre più il lungo corso di una telenovela infinita. Tesi contrapposte vengono riproposte con una crescente condizione guerreggiata tra il Nord invasore ed il Sud vittima di gravi danni dovuti agli invasori predatori e saccheggiatori dei beni meridionali. Nel mio libro “Cara Italia ti scrivo”, mi sono espresso in un ruolo narrante che vedeva l’Italia Unita un fatto assolutamente positivo per il futuro italiano. Forti le accuse anche nei miei confronti di tradimento meridionale. Purtroppo, secondo il mio punto di vista, dietro le nostalgie borboniche, abbiamo pensato a farci inopportunamente male ad un punto tale da ritrovarci a parlare ancora di un Sud marginale e fortemente arretrato. Perché strumentalmente, quando si invoca il ritorno dei Borboni non si dice che all’epoca dell’Unità al Sud c’era l’83% della popolazione analfabeta? Perché non si dice che c’era, tra l’altro, tanta povertà diffusa; tanto degrado e tante sofferenze umane per effetto della malaria che falcidiava nei latifondi le popolazioni meridionali, mietendo vittime innocenti soprattutto tra i bambini? Altro che rimpianto per i bei tempi dei Borboni! Per un nobile e possibile fine utile, tra l’altro, al futuro italiano, ci vengono incontro due nuovi libri sul Sud. Uno, recensito a parte, è un importante saggio sul Mezzogiorno del giovane storico abruzzese, professore all’Università di Barcellona, Emanuele Felice, dal titolo “Perché il Sud è rimasto indietro”, 2014 – Edizioni Il Mulino, dove l’autore sostiene che il Sud è rimasto indietro, perché nel Sud “dominano la criminalità organizzata, il clientelismo, la violazione del diritto”. Tutte eredità del regno borbonico trasmesse al nuovo stato unitario, con una classe dirigente meridionale che trova la sua continuità storica in un mondo che dal barone borbonico è stato interamente ereditato dal mediatore politico dei giorni nostri. Oltre a questo importante saggio di Emanuele Felice, ce n’è un altro, “L’alibi meridionale” di Gianni Donno, Edizioni Pensa-Multimedia 2013 – Lecce. Anche il libro di Gianni Donno, è determinato nel superamento delle false ed inopportune polemiche sul torto subito dal Sud ad opera del Nord e soprattutto delle malefatte dei piemontesi, assunti a ladroni per le presunte ricchezze del Regno dei Borboni, trasferite nei forzieri della nuova Italia padrona del Nord. Il libro di Gianni Donno, come lo è anche il saggio di Emanuele Felice, è un duro atto di accusa contro chi oggi al Sud ancora ed inopportunamente si attarda a recriminare sulle malefatte dei “piemontesi”, considerandoli responsabili di tutti i mali meridionali. Una tesi che Donno come Felice, considera falsa e pretestuosa; Donno con forza espone le sue idee e ben puntualizza che si è trattato di un alibi senza alcun concreto fondamento. In apertura del libro Donno scrive che si tratta di un torto assolutamente infondato; di un torto del tutto inventato; di un torto smentito dalle inchiesta governative post-untarie che misero a nudo le profonde cause di arretratezza meridionale (dalla malaria abbondantemente diffusa in zone malsane, alle condizioni di profondo e grave malessere dei contadini, dai regimi proprietari della terra, alle vie di comunicazione, dall’analfabetismo, alle profonde condizioni di degrado e di arretratezza della vita sia per condizioni igieniche, che umane e culturali). Negli scenari tristi di un Sud senza sviluppo, lo statalismo diffuso, è diventato il vero grave male che ancora avvolge tutto di sé, con forme invasive di voto di scambio e di servile dipendenza politica. Molti studiosi hanno pretestuosamente diffuso certezze storiografiche di un Rinascimento, come “rivoluzione agraria mancata”, ponendosi così su di una posizione antiunitaria che ancora continua, facendo male al Sud, perché viene fortemente ostacolato nella sua giusta via dello sviluppo possibile, affidato, tra l’altro, alle risorse disponibili e soprattutto alle risorse energetiche rinnovabili. Sarà a lungo il gramscismo, apertamente antiunitario, perché anticapitalismo e populista, in forte contestazione con le classi dirigenti dello Stato italiano post-unificazione, a favorire, per questi suoi obiettivi politici, facendo da cassa di risonanza, la protesta meridionalistica contro i piemontesi per quel torto subito, inventato più che vero, come risarcimento delle ingiustizie subite. Ma di assistenzialismo si può anche morire, così come sta succedendo oggi al Sud che, senza sviluppo, si autodistrugge nelle povertà diffuse sia materiali che immateriali di un assistenzialismo ormai di fatto negato, perché l’Italia è sempre più povera e non ha più la capacità di fornire al Sud quella sussidiarietà persistente e diffusa che non ha mai permesso al Mezzogiorno d’Italia di cambiare e tanto meno di svilupparsi in senso moderno.
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