L’apparenza in luogo della sostanza

 Giovanna Rezzoagli

La nostra è l’epoca dell’immagine. Siamo tutti quotidianamente sottoposti ad un vero e proprio bombardamento di informazioni visive. Attraverso televisione, computer e carta stampata viaggiano messaggi di vario tipo, che imprimono suggestioni a volte molto significative nel determinare i nostri comportamenti. Un esempio a mio avviso concreto è dato dai modelli di perfezione fisica che da anni sono diventati quasi un obbligo da rispettare per tutti. Se non sei perfettamente “equilibrata” nelle dimensioni di “lato A” e “lato B” ti metteresti in costume proprio serenamente? E’ il classico tormentone da marzo in poi: la prova costume. Le scelte delle non proprio sosia delle Claudia Schiffer sono sostanzialmente due: spendere un patrimonio tra creme e massaggi e, magari, anche per il costume trendy, oppure convivere con ciò che ci portiamo a spasso tutto l’anno con buona pace della bilancia. Inutile dire che confrontarsi con la propria immagine non è propriamente facile a nessuna età, ma in età adolescenziale può diventare particolarmente problematico. Non è solo un problema estetico, perché l’adolescente è alla ricerca della propria identità e l’immagine fisica è molto importante per l’equilibrio interiore. Naturalmente non si può generalizzare, ma l’imperfezione fisica genera sovente insicurezza. Noi viviamo nell’epoca del consumismo frenetico, il non avere equivale per molti a non essere. Esagerazione? Forse, ma vale la pena riflettere. Quando ci accorgiamo che ci manca qualcosa? Quando avvertiamo una necessità, o quando qualcuno convince che noi dobbiamo avvertire quella necessità. E’ una differenza sottile ma fondamentale. Ciascuno di noi ha i propri punti deboli, le proprie piccole o grandi insicurezze che cerchiamo di compensare in modi svariati. La pubblicità funziona essenzialmente su questo semplice meccanismo. Freud avrebbe avuto il suo bel lavoro ad analizzare tutte le pulsioni che ci spingono a comprare anche ciò che poi non ci serve davvero. Anche per il lavoro, idem. Chi si accontenta di un lavoro umile ora che una laurea non si nega (quasi) più a nessuno? Pochi, per ora, ma nei prossimi tempi non è difficile immaginare un radicale mutamento della situazione. La crisi internazionale ha fatto aumentare di molto la percentuale di suicidi, specialmente tra coloro che si trovano nella fascia d’età compresa tra trenta e quaranta anni. E’ un dato sociologico molto significativo. L’incertezza che pesa sulla nostra società attuale disorienta profondamente perché incrina il modello culturale incentrato sul benessere diffusosi nell’ultimo trentennio. Il modello dell’apparenza, in cui se non sembri, se non hai, allora non sei. Ma noi siamo ciò che sembriamo? Non credo proprio. Viaggiamo con una maschera di plastilina e raramente abbiamo il coraggio di lasciare intravvedere le nostre caratteristiche peculiari. Abbiamo troppa paura del giudizio degli altri. Così soffochiamo la nostra individualità e soffriamo in silenzio, perché non accettiamo facilmente i rifiuti che possiamo ricevere. Ma noi siamo, e le nostre azioni, i nostri pensieri e le nostre parole parlano di noi molto più dei vestiti che indossiamo o dell’auto che guidiamo. Essere e non solo apparire è una piccola grande sfida quotidiana.