Lettere in redazione: Patologie croniche e detrazioni fiscali
Convivo con il diabete di tipo 2 dal 1980. Ci si abitua all’idea di controllare la glicemia ogni mattina per tenere sotto controllo un nemico penetrato già dentro le mura che stringe d’assedio le arterie, cerca di insidiare la retina, i reni e quant’altro. E prima o poi qualche danno lo fa … Ma c’è chi sta molto peggio: chi ad ogni boccone deve misurare la sua dose di insulina da iniettarsi dopo. Sicuramente è una persona molto meno fortunata di me. E’ una malattia dalla quale non si guarisce a meno che non si pervenga ad un trapianto di cellule staminali nel pancreas. Ma come siamo abituati a convivere anche con gli imbecilli, ci si abitua a convivere tranquillamente anche con questa malattia. A proposito: perché tanto ostracismo a certe ricerche biologiche “frontline”? C’è razionalità nel porre a priori dei limiti alla conoscenza? Nel tempo delle “vacche grasse” i centri diabetologici dispensavano senza troppi problemi strisce reattive e presidi, almeno per un controllo giornaliero. Ora la ASL di appartenenza fornisce una striscia al giorno per gli insulinodipendenti ed una striscia ogni quattro giorni ai diabetici di tipo 2 non insulinodipendenti. Pazienza, l’Italia è in crisi e le malattie costano. Chi può e vuole monitorare il nemico dentro le mura, compra di tasca sua 25 strisce reattive (mediamente 30 euro a confezione). Ed arriva la sorpresa … Le strisce avendo nel codice a barre il fatidico A9 in luogo dell’A0, designante i farmaci da banco, non possono essere detratte dal 19 % delle spese sanitarie sostenute. Sono, in pratica assimilate ad un collirio generico o ad una confezione di profilattici. Quindi inutile provarci. I CAAF hanno avuto direttive dalle Agenzie delle Entrate e controllano uno per uno gli scontrini portati in detrazione. Una semplice considerazione: costa di più allo stato rimborsare la detrazione fiscale o rimborsare le Asl per le spese sostenute per curare le complicazioni del diabete? Circa il 70% dei diabetici sviluppa, nel tempo, insufficienza renale che, nei casi più gravi conduce alla dialisi a vita. Per non parlare delle problematiche a carico del sistema cardiocircolatorio, con particolare riferimento al microcircolo negli arti periferici. Il diabete è una patologia subdola, non provoca manifestazioni evidenti al suo insorgere e lavora spesso silente per anni, sino a che non lo si diagnostica, a volte casualmente, attraverso un semplice esame del sangue. Convivere col diabete è possibile, ma non ci si può permettere di sottovalutare questo nemico. Ecco perché è fondamentale il controllo della glicemia capillare, anche per evitare le pericolose crisi ipoglicemiche. Nell’immaginario collettivo a cui tutti attingiamo a piene mani per dar bella mostra della nostra “tuttologia”, ci si immagina il diabetico come colui che vive di restrizioni o magari conduce una vita poco appagante o che ragioni come un idiota (inteso nella sua accezione corretta presa dalla psicopatologia, in cui per idiota si intende colui che possiede un Q.I. inferiore a 50). Nulla di più errato, certo è necessario seguire una dieta equilibrata e occorre eseguire dei controlli. Ma, come spesso accade quando ci si ammala di patologie con le quali si deve convivere per sempre, si diventa più consapevoli e più attenti alla nostra misera condizione umana. Già, perché il diabete può minare il fisico, ma non certo l’intelletto. Persino la nostra Magistratura, spesso generosa quando si tratta di concedere le attenuanti relative al vizio di capacità di intendere e volere ad imputati di vari reati, non mi risulta sia mai arrivata ad includere il diabete come possibile causa di alterazione psicopatologica della facoltà di giudizio. La discriminazione viaggia sul filo robusto dell’ignoranza colpevole non di ignorare, ma di giudicare. La speranza è data dal fatto che, forse, anche il fisco si renderà conto che prevenire è meglio, e più economico, che curare.
Lettera firmata