Sud da cambiare, per non morire

Sud da cambiare, per non morire

Giuseppe Lembo

Purtroppo le gravi condizioni del Sud, della Campania e del Cilento in particolare, sempre identiche a se stesse vengono trasmesse in eredità da una generazione all’altra; un testimone che cambia mano, senza che intorno cambi assolutamente niente. Qui in tempi di prosperità economica in tanti hanno goduto di un diffuso benessere dovuto alla sola sussidiarietà meridionale, funzionale a garantire il potere italiano, il frutto di un fare politico con i suoi punti di forza soprattutto in quella classe dirigente meridionale erede dei tanti baroni meridionali, poi sulla scena nel ruolo di affannati ed affamati mediatori politici; tanto, come il frutto di un accordo tacito con il Nord, finalizzato al governo del Paese, con effetti concreti in lunghi decenni di un falso insieme italiano che, come diceva un tempo ormai lontano, Giustino Fortunato, hanno rappresentato per il Sud la sola politica del niente, per un fare del niente, ai fini del cambiamento e dello sviluppo possibile, un obiettivo questo, purtroppo, da sempre indifferente sia al Nord capace di produrre sviluppo che al Sud, assetato di sola sussidiarietà e di assistenzialismo diffuso che non ha permesso di accedere a quel tanto atteso sviluppo, così come desiderato dai più. Secondo le buone regole di uno sviluppo territoriale possibile, bisogna fare una concreta operazione di coinvolgimento italiano allargato, recuperando, per questo obiettivo, le idee, le tante nuove idee di insieme, finalizzate ad una progettualità italiana condivisa. Oltre a questo, c’è urgente bisogno che il territorio, tutto il territorio italiano, riesca ad esprimere al meglio il suo insieme professionale e le sue capacità creative al servizio del bene comune e non per i soli egoismi di parte. Tanto, nel contesto di un laboratorio di idee per lo sviluppo, capace di sfide intelligenti a partire dal pensiero, prima considerate assolutamente impossibili. Un percorso  del pensiero, finalizzato al fare mettendo a confronto tutte le risorse disponibili, a partire, prima di tutto, da quelle umane, con le idee progettuali e creative finalizzate a realizzare cambiando, i nuovi destini dei territori che, purtroppo, hanno sulle spalle, un passato di indifferenza e di un uso assolutamente non laboratoriale, in quanto poco interessato alla progettualità, ma ad un solo concreto fare individuale che non si è mai posto concretamente il problema di un utilizzo organizzato dei territori, per cambiare a fondo i destini della gente. Un progetto di quel cambiamento possibile si può fare, avendo a disposizione le risorse necessarie che, se ben utilizzate, possono finalmente far partire lo sviluppo negato anche al Sud, dove si è agito con un fare da rapina, assolutamente estraneo al percorso virtuoso della crescita cambiando, avente come obiettivo dichiarato lo sviluppo territoriale e quindi lo sviluppo umano. Un progetto Cilento, per cambiare finalmente, anche realtà come quelle cilentane, rassegnate al non cambiamento; tanto, non per volontà divina, ma per sola volontà umana e soprattutto per quegli egoismi di comodo, funzionali al solo proprio essere uomini sulla Terra. Nel gridare ai quattro venti che la visione apocalittica dell’eterno terreno, è una visione sbagliata, in quanto il solo frutto di una invenzione umana assolutamente da sfatare e da vincere anche nel Cilento e per il Cilento, c’è l’urgenza di rientrare nella normalità credendo, prima di tutto, nella speranza di un futuro umanamente possibile. Il modello che dal pensare al fare è alla base dei destini umani e dei territori, è purtroppo da sempre estraneo oltre che indifferente, all’intero Cilento; una realtà quella del Cilento, poco dinamica con caratteristiche di staticità diffuse che ci ritroviamo e troviamo tutte in quel maledetto immobilismo di cui soffre il territorio cilentano, nonostante il suo passato; nonostante l’essere stato la Terra dei saggi parmenidei, con un pensiero dell’essere nato proprio qui da noi, da Parmenide e coltivato con amore, da quella Scuola Eleatica che ha prodotto i suoi abbondanti frutti, oggi patrimonio immateriale dell’umanità, purtroppo, inopportunamente indifferente ad un territorio che continua a farsi violentare da un immobilismo che uccide tutto e tutti, senza opporsi con forza, liberandosi così da un male oscuro che più oltre determinerebbe l’inevitabile morte del già moribondo Cilento. Il Cilento è, come da più parti si dice, immobile, perché, come recentemente denunciato dall’ex Ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca, non dispone di risorse umane; perché l’imprenditorialità è assente e perché niente si rinnova, essendo assolutamente immobile. Un tempo le fornaci;  i mulini a vento e ad acqua;  le tecniche veline di costruzione; i vecchi frantoi. Oltre al valore storico suo proprio, sono concrete testimonianze di un’utile archeologia industriale; sono percorsi di vita che, al di là di come li conosciamo, hanno un loro forte fascino oggi ed ancora più domani, per gli effetti virtuali di cui vanno opportunamente arricchendosi. Superandone l’uso museale, mista alla testimonianza del tempo che fu, a mio avviso, è opportuno farli rivivere come laboratori creativi e del pensiero; come fabbrica delle idee di cui ha tanto bisogno il Cilento per uscire dal suo profondo e mortale immobilismo.