Le visioni musicali di Raffaele Laudisio

Maria Pina Cirillo

Un’intensa elaborazione concettuale è alla base delle opere di Raffaele Laudisio la cui produzione artistica, decisamente minimalista, predilige il non-colore che l’uso sapiente della spatola trasforma in un micro-universo su cui l’astrattismo geometrico, attraverso la collocazione  non casuale di primordiali ed arcaici segmenti, esili afflati o tragici solchi, quadrati, rettangoli, etc. (se ripetuti, ossessionanti  sequenze), acquista nuovo vigore. Le varie stratificazioni di colore diventano, così, elemento portante della bi-dimensionalità delle sue opere, trasformano la tela in gomma per affidare alla perfezione esecutiva il fascino di un messaggio pudico ma non per questo meno dirompente. L’artista, infatti, attraverso una tecnica rigorosa che mira alla semplificazione formale, quasi una reazione agli eccessi che non di rado hanno dominato l’arte contemporanea, crea grandi superfici, quasi magici scenari, totalmente dominati da cadenze cromatiche povere di cui amplia in maniera esponenziale le vibrazioni dilatando all’infinito la luce che, autentica co-protagonista, conferisce alle opere desueti fremiti, invisibili vibrazioni, evanescente e mutevole luminosità. Un messaggio intenso, ingannevolmente semplice che punta alla riscoperta di una pittura scevra da ogni orpello, libera da ogni zavorra discorsiva e/o contenutistica, giocata totalmente sulla valorizzazione ed esaltazione del colore, non mero ornamento ma insostituibile e prezioso supporto del pensiero simbolico, presente a tutti i livelli della conoscenza.

Indagando l’ignoto, spezzando il sigillo identitario che lega pulsione e ideale e muovendosi negli infiniti labirinti della mente, Raffaele Laudisio pone attenzione non solo al risultato ma soprattutto al processo dell’ intelligere. Così, penetrando e vivendo la dis-armonia tra la volontà consapevole e quella istintiva, nel percorso in cui la coscienza, guidata e retta da una radicale estraneità dell’uomo dal suo stesso sé ne ritrova la matrice antropologica, egli accoglie l’antinomia come autentico motore di un mondo ricco di contraddizioni intese come risorsa e non come problema. Assumendo l’alterità come valore, ne esalta le contraddizioni e crea una visione stereometrica capace di  cooptare il fruitore ed immergerlo in una realtà metafisico-culturale che non è  immobilismo o  banalità ma ricerca e sperimentazione di un vocabolario capace di generare idee desuete e sorprendenti, ammalianti suggestioni.

Nel gioco della sottrazione cromatica, frammenti di rette, linee più o meno accennate, figure geometriche quasi scavate su una base levigata, lievi tracce, graffi e ferite squarciano in profondità le superfici e sotto la spinta dell’impulso creativo mai disgiunto dal pensiero critico, diventano palpitanti e spingono il fruitore oltre le forme, favorendo visioni musicali che raccontano il sogno e sintetizzano un ardore desueto.

Ed è per questo che opere in apparenza elementari ci catturano in maniera così totale, ci emozionano e ci coinvolgono facendoci vibrare all’unisono, ci comunicano sensazioni ed emozioni profonde. A trascinarci è la forza stessa dei colori che, non comprimari ma protagonisti assoluti, dominano le tele escludendo ogni relativizzazione figurativa e riappropriandosi di una vera e propria dimensione fisica. E’ il trionfo della pittura pura, la rivincita del colore tout court: i neri pensosi ora opachi e morbidi, ora setosi e traslucidi ma mai esenti da linguaggi sussurrati che rendono la tela ad un tempo stesso scabra e morbida, i bianchi spenti di un freddo mondo lunare e quelli brillanti ricchi di tutte le potenzialità, traboccanti di possibilità vive e reali come il silenzio, vuoti misteriosi oscillanti tra presenza ed assenza, sospesi tra giorno e notte, attraverso cui il mondo onirico abbraccia ancora tutta la realtà, i grigi sobri, soffici e discreti, equilibrio perfetto fra gli  opposti e, più raramente, i rossi traboccanti di vitalità, ora chiari e luminosi, ora impetuosi o quasi feriti e ripiegati su loro stessi quasi estrema difesa contro l’intensità, l’irruenza  e la forza delle emozioni più riposte. Ed in questo panorama iconografico scarnificato, depurato da ogni elaborata sintassi espressiva, caratterizzato da una  rigida pulizia stilistica e da una scelta delle cromie sostanzialmente dimessa che esalta l’aerea  levità del sogno coniugandola con un’intensa elaborazione concettuale, prepotenti emergono i fondamenti paradigmatici che ne costituiscono l’essenza. E, nell’ambito di un più ampio discorso che vede la destrutturazione del linguaggio artistico come corollario di quella del reale, sono proprio gli archetipi, i meta-concetti  che emanano da una massa pittorica in cui la raffinata maestria e l’assenza di riferimenti rimandano ad una simplicitas primigenia, a diventare pilastri portanti per la costruzione di autentici luoghi dell’anima in cui coesistono le drammatiche lacerazioni del mondo contemporaneo e il lirismo incantato di chi continua a credere nell’Uomo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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