Se la Destra la fa Renzi

Angelo Cennamo

Se i capi di governo si potessero giudicare come i calciatori, al termine della partita, nella pagella di Matteo Renzi dovremmo scrivere : senza voto. La prestazione dell’ex sindaco di Firenze, infatti, per quanto sia quotidianamente oggetto di dibattitti ed approfondimenti, non la si può considerare positiva, ma neppure negativa. Semplicemente:  non classificabile. Di Renzi, tutt’al più, saremmo in grado di giudicare gli annunci. Quelli sì. In tal caso, potremmo dividerci sulla bontà o meno della riforma del senato, sulla legge elettorale o sull’abolizione delle Province. Saremmo o no d’accordo con il premier, qualora queste riforme si facessero per davvero? Meglio lasciar perdere. In queste ore, il nostro guascone è chiamato ad una prova difficile, che dico difficile: decisiva. Non soltanto per il Paese, ma soprattutto per la sinistra, per il suo mondo e per la sua perenne quanto inconcludente vocazione al riformismo. Stiamo parlando, ovviamente, del Jobs Act, ovvero della materia più ostica che i politici italiani, sia di destra che di sinistra, hanno maneggiato o provato a maneggiare negli ultimi 20 anni, sempre con scarsi risultati. La legislazione del lavoro, in Italia, è alquanto prolissa, farraginosa, e spesso resa ancora più complicata da chi invece è stato chiamato a semplificarla e a renderla più leggibile. Prolissa dicevamo, eppure sembra che tutta la sua consistenza sia racchiusa in una sola norma, norma che tutti conoscono dal punto di vista numerico – art. 18 – ma che in pochissimi ne saprebbero delineare fino in fondo i caratteri e i contenuti, forse neppure gli addetti ai lavori. Ma non è dell’art. 18 che vogliamo parlare. Piuttosto della simbologia e della metodologia con la quale Renzi sta portando avanti la sua battaglia (in parte anche personale). Quando leggerete quest’articolo probabilmente il parlamento si sarà già pronunciato nel merito, unitamente alla fiducia che il governo pare voglia porre per evitare scivoloni o passi falsi. La minoranza PD si piegherà alla volontà della maggioranza renziana? Forza Italia andrà in soccorso del premier nel caso dovessero mancargli i voti decisivi, magari lasciando a casa alcuni dei suoi senatori? La sensazione è che per mercoledì 8 ottobre tutto si accomodi, e che Renzi riesca a portare lo scalpo del Jobs act alla sig.ra Merkel,  dimostrandole di aver fatto almeno uno dei compiti a casa prescrittigli dalla UE. Senza falsi trionfalismi, si tratterebbe di un risultato importante e sotto diversi punti di vista. Renzi, infatti, si accrediterebbe come un vero leader riformista. Dimostrerebbe cioè di avere rottamato sul serio la vecchia sinistra post comunista, di aver liberato il suo Pd dal veto dei sindacati, e di essere riuscito in un’impresa che era sfuggita finanche alla destra di Berlusconi, sia pure in un contesto storico e politico molto diverso da quello attuale. Insomma, il Jobs Act porrà Renzi  di fronte ad una alternativa : diventare il Tony Blair italiano o rimanere il ragazzo fortunato di Jovanotti ( di 10 cose fatte glien’è riuscita mezza).

7 pensieri su “Se la Destra la fa Renzi

  1. la prova di forza non è mai un indice di riformismo anzi è sintomo di immaturità anche politica, è un po come tornare bambini e gareggiare a chi fa la pipì più lontano, niente di più.
    che la destra abbia bisogno di una nuova leaderschip lo dimostra proprio cercandola dall’altra parte dello schieramento, e in questo concordo con te.
    che il jobs act, questi inglesismi proposti da chi l’inglese lo mastica male e già significativo, voglia riformare e semplificare la normativa del lavoro aumentando le tutele è tutto da dimostrare visto che sembra che proprio voglia eliminare quel poco che resta dell’art. 18. io non credo che si possa aumentare l’occupazione con le leggi. io credo che si possa ottenere un minimo di risultato investendo. Dio ci salvi dagli economisti e dai sociologi i quali sanno leggere i fatti accaduti ma non prevedere il futuro altrimenti saremmo tutti dei gran fessi a non avere trovato delle soluzioni.
    poi una la soluzione al licenziamento può essere sicuramente un risarcimento, ma dovrebbe essere consistente -almeno un paio di anni- andrebbe bene se fosse garantito a tutti coloro che perdono il lavoro. ma la domanda che mi faccio conviene al sistema imprese scombussolare un mercato del lavoro come il nostro che è il più flessibile e poco remunerato del mondo? il problema non sono le eccessive tutele al contrario sono le poche tuele e tu caro angelo, cennamo, lo sai bene. quindi l’art. 18 è uno scalpo niente di più, è uno sfizio che per ottenerlo bisognerà combattere ed imporsi e comunque comporterà un pagare pegno, perchè alla destra, e a renzi, interessa una totale deregulation dove l’imprenditore tornerà padrone. e questo è antistorico e fuori luogo. il sindacato non credo governi con i partiti, al contrario sono proprio quei sindacati che non faranno sciopero a cercare sponde in cambio di leggittimità e consenso.
    lo sbocco di questa vicenda, polirico, sarà quello di dare nuova linfa e portare acqua a quei movimenti, ben rappresentati in parlamento, che un poco si erano persi. e quindi questa battaglia affosserà proprio la politica dei partiti “storici” compresa forza italia. per la gente comune varrà il detto: quando ce n’è viva mose, quando non ce n’è più viva Gesù.
    altro che destra e sinistra e riformisti e conservatori!

    1. A volte penso che molta gente sia contenta di abbattere cose come l’articolo 18 per un fatto di pura, semplice, umanissima invidia verso il dipendente (rispetto, chessò, alla fragilità di certe partite IVA). Altre volte penso che molta gente semplicemente non si renda conto che, come dici tu, il lavoro in questo paese già fa pena di suo e che non è togliendo ulteriormente diritti che la situazione migliorerà. Si continua a fare una anacronistica battaglia sui diritti dei lavoratori e non si fa niente contro quegli imprenditori-prenditori che prendono soldi dallo Stato per far andare avanti aziende-private-colabrodo, senza piani industriali e senza prodotti innovativi.

      Invece, mi pare che si voglia il lavoratore con il minimo dei diritti, il minimo della retribuzione, chiamato quando serve e per il tempo che serve, mentre la sua azienda si serve abbondantemente di fondi statali, contratti d’area, cassa integrazione, mobilità e facilitazioni varie per portare avanti aziende cadavere che a tutte le riunioni di settore poi si lamentano per le troppe tasse.

  2. La Merkel non c’entra nulla, c’entra quello che dice Draghi:

    “Il problema non è quello di licenziare; il problema è quello che nei modi possibili si creino nuovi posti di lavoro aumentando la produttività del sistema delle imprese, la formazione dei giovani e un sostegno che mantenga l’equità duramente toccata dai sacrifici che la situazione impone”

  3. Per creare posti di lavoro occorre, innanzitutto, ridurre la pressione fiscale sulle imprese ( in Italia al 70%). Ma l’abolizione o riformulazione dell’art. 18 (ancora non c’è – la delega approvata è in bianco) è un passo in avanti necessario in un Paese dove perfino i ladri vengono spesso reintegrati in caso di licenziamento. Chi ha voglia di lavorare e conosce il suo mestiere, non ha nulla d temere, caro Peppe.

    1. Appunto: il problema è la pressione fiscale, che nessuno ha toccato perché sia i governi di destra, sia quelli di sinistra sapevano che l’Italia è una Repubblica fondata sull’evasione, sulle tasse sulle buste paga e sulle tasse alle imprese che le tasse le pagano.

      L’abolizione dell’articolo 18 è una cosa che riguarda un numero di lavoratori che non corrisponde a “tutti i lavoratori”: riguarda esclusivamente lavoratori che lavorano in contesti medio-grandi in cui sei “un numero” ed il tuo lavoro è praticamente invisibile a chi gestisce l’azienda. Di fatto, sei solo un costo: 10 come te costano tot e se mi mettono troppe tasse o la mia idea imprenditoriale è un flop, non ho prospettive, ecc.ecc., la prima cosa che faccio, IN QUALUNQUE MODO TU LAVORI, è liberarmi di te.

      (ma potrei anche fare di peggio: prendo al posto di 10 “vecchietti” di 45 anni che in materia di diritti la sanno troppo lunga e il cui stipendio è diventato troppo alto, 20 giovanotti di 25 che con la fame che c’è lavoreranno come cinesi pur di farsi notare e farsi una famiglia).

      Quello che lei dice può essere applicato in piccole realtà in cui si conoscono tutti (e dove magari l’articolo 18 nemmeno si applica): l’imprenditore di una azienda con 20 dipendenti il lavoratore se lo tiene, fa parte della famiglia. Provi ad applicare lo stesso concetto in aziende di 5000 dipendenti: l’imprenditore non sa proprio chi sia Rossi Mario, ne conosce esclusivamente il costo. E’ qua che ti arrivano i sindacati a difendere l’articolo 18, che è sicuramente un vecchio arnese, sicuramente tiene in piedi i sindacati come apparato, MA allo stesso tempo funziona da deterrente verso l’imprenditore che non sa chi sia Rossi Mario.

      Un consiglio, cerchi due cose:
      – dati su quante volte in tutto è stato applicato l’articolo 18 negli ultimi anni;
      – dati su quanti “sosia” dell’articolo 18 esistono in molti paesi civilizzati;

      Non sono un fan dell’articolo 18: molti anni fa ne avrei potuto usufruire ma ero talmente schifato dal mio posto di lavoro e da chi lo gestiva che MAI avrei voluto essere reintegrato (per cosa, poi? Per cominciare una sfibrante situazione di mobbing? Per carità: ritrovai, bei tempi!, lavoro in breve tempo spostandomi nella provincia di Napoli)

  4. D’accordo, ma chiediamoci perché il 95% delle imprese italiane ha meno di 15 dipendenti. Siamo sicuri che non c’entri anche l’art. 18?

    1. Gentile Cennamo, non conosco il suo lavoro: io ho lavorato in aziende di ogni dimensione e non ho mai sentito un imprenditore lamentarsi di questo articolo.

      Le dimensioni delle aziende possono avere motivazioni anche molto diverse, ne elenco due a caso:

      – non c’è nessuna necessità di essere più di 3 (mi vengono in mente l’edicola dei giornali, il panificio, la pasticceria, il bar, altra attività su strada che formano una parte piuttosto consistente delle aziende italiane);

      – si va incontro ad un tipo di tassazione più morbido rispetto ad aziende più grandi (le quali, di contro, possono prendere a piene mani in situazioni di crisi, con cassa integrazione a vari livelli, mobilità e quant’altro permetta di far andare avanti la produzione);

      Ma poi, dico io, se lei ritiene che il problema venga aggirato in questo modo (o almeno io questo ho capito) quale è il problema? Non c’è nessun problema, basta fondare tot aziende che collaborano tra di loro e il problema non si pone più.

      Quindi perché darsi tanta pena per una problema che non esiste? Secondo me (sbaglierò) perché a monte c’è qualcuno che ritiene (io dico “ideologicamente”) che si debba poter licenziare anche senza nessun motivo o per motivi non contemplati dall’articolo in questione

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