Canone RAI: nuove prospettive per la tassa più odiata
Che la tassa sul possesso di un apparecchio televisivo, perché ciò è in realtà il canone RAI, sia la tassa più insopportabile è ormai assodato da ogni sondaggio sul tema. Bisogna tenerlo a mente di fronte ad un’altra statistica sbandierata con fierezza da Viale Mazzini e troppo spesso dimenticata dal grande pubblico: il canone RAI è la tassa più bassa d’Europa nel suo genere. Tuttavia ciò non basta a lenire il tradizionale malcontento che accompagna l’imposta, né si può negare che il problema del finanziamento del servizio pubblico sia oggi più che mai sentito in un’epoca in cui non solo è venuta meno la centralità di tale servizio, ma l’intero mezzo televisivo è costantemente messo in discussione. Ecco allora che la rassegna Eurovisioni tenutasi a Roma in questi giorni è stata molto di più che un semplice incontro tra esperti, ma ha fornito indicazioni chiare sui modelli possibili per il canone RAI, proprio nel momento in cui il governo Renzi sta progettando una riforma in proposito. Il Sottosegretario con delega alle telecomunicazioni Antonello Giacomelli pare stia lavorando ad un nuovo canone stabilito in base al reddito delle famiglie, superando l’ingiustizia di un canone identico al di là della propria condizione. A un simile modello, ispirato alla Finlandia, ha fatto riferimento anche il direttore generale della RAI Luigi Gubitosi, ricordando altresì la necessità di contrastare l’evasione (27%) così da pagare tutti e pagare meno. Il governo lavorerebbe in tale direzione pensando ad una tassa sui consumi adattata allo status economico, in ogni caso più bassa del canone ma in grado di abbracciare più persone vincendo l’alta percentuale di evasori; il resto degli introiti potrebbe arrivare perfino dalle lotterie. Nel resto d’Europa il finanziamento della rete pubblica ha offerto anche altre alternative: in Olanda è un prelievo diretto, in Germania il canone è divenuto tassa per il servizio pubblico al di là del possesso di un apparecchio, in Svezia addirittura si è tentato di estendere il canone anche ai nuovi supporti tecnologici. Eppure le varie soluzioni possibili per il canone RAI ignorano la questione più profonda dietro il perenne malcontento relativo alla tassa, la più odiata malgrado la meno onerosa d’Europa: ha davvero senso, coi contenuti attuali, il servizio pubblico? Negli Stati Uniti, ad esempio, non esiste un corrispettivo della RAI o della BBC inglese, lì il servizio pubblico è inteso come una missione, una serie di contenuti (documentari, telegiornali, programmi per bambini) e non un’azienda. In Europa l’esempio storico è quello della già menzionata BBC, indipendente da ogni partito politico, in grado di produrre serie di qualità da rivendere in tutto il mondo e dotata anche sotto l’aspetto delle nuove tecnologie. La RAI non offre affatto i contenuti della BBC, né si mostra commercialmente in grado di reggere il passo con le tv commerciali e le pay-tv, senza contare l’annosa questione della gestione aziendale (fortemente dipendente dal sistema politico). Con le nuove generazioni sempre più disinteressate al sistema televisivo tradizionale c’è da chiedersi se il vero problema sia come finanziare il servizio pubblico o, piuttosto, ripensarlo totalmente.