Salerno: 400 al primo giorno corsi a Medicina, tra disagi e soluzioni provvisorie
24 ottobre, primo giorno di corsi per più di 400 nuovi studenti iscritti alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Salerno. Un numero esorbitante, eccessivo per le aule del polo di Lancusi, dove la Facoltà ha la sua sede; tanto che si è deciso di posticipare l’inizio delle lezioni di più di una settimana, e di indirizzare gli studenti alla più capiente Aula delle Lauree di Ingegneria. Il boom di iscritti, sebbene renda onore alla lunga tradizione medica salernitana che affonda le sue radici nel Medioevo, trova le sue cause in una tradizione molto meno lunga e nobile, che è quella dell’organizzazione dell’istruzione italiana. La sentenza di luglio del TAR che ha invalidato i test nazionali a numero chiuso per l’accesso alle facoltà di medicina, ammettendo con riserva anche coloro che non hanno superato il test, ha di fatto destinato non solo all’Università di Salerno, ma a tutti gli atenei italiani, molti più studenti di quanti fossero pronti ad accoglierne, con grandi disagi in tutto il Paese. Di fronte ai quali, tuttavia, gli studenti non intendono restare immobili. Ilaria Pizzulo, studentessa dell’Università di Salerno iscritta al primo anno, afferma: «ci stiamo muovendo in una direzione che non è di protesta, ma di richiesta; stiamo cercando di formare un movimento studentesco, una rete nazionale visto che il problema riguarda tutti. Si è parlato tanto di diritto allo studio negato; ciò che noi vogliamo far presente al TAR e al Ministero è che permettendo l’accesso a tutti, senza adeguare le strutture, si è negato comunque il diritto alo studio, in quanto non abbiamo più il luogo fisico per seguire i corsi.» «Per quanto riguarda il diritto al lavoro – prosegue – siamo intaccati dal punto di vista pratico, perché quando sarà il momento di iniziare il tirocinio, dovranno trovare posto per 500 persone. Visto che il numero di tirocinanti è definito in base al numero dei posti letto dell’ospedale di riferimento in base a una normativa statale, dal terzo anno in poi immaginiamo così tanti ragazzi che, entrando in un ospedale, cercano di rapportarsi con pazienti e medici. Il rischio che si corre è quello di creare una futura generazione medica teoricamente molto preparata, ma nella pratica rischiamo di essere dei medici che non sanno fare un’endovena.» Il che dimostra che la precarietà della situazione è un problema non solo per i giovani aspiranti alla professione medica, ma anche per chi l’endovena dovrà subirla.