Spiritualità: gli angeli del Beato Angelico
don Marcello Stanzione
Da poco tempo si è conclusa a Roma, presso i Musei Capitolini, la mostra “Beato Angelico. L’alba del Rinascimento” (dall’ 8 aprile al 5 luglio 2009), per commemorare i 550 anni della morte del grande pittore cristiano. Guido di Pietro, divenuto frate domenicano col nome di fra Giovanni da Fiesole, nacque a Vicchio del Mugello nel 1395 e morì a Roma nel 1455. Noto come fra Angelico o Beato Angelico subito dopo la sua morte, sia per la religiosità dei suoi dipinti che per la santità della sua vita, gli fu confermato il culto da papa Giovanni Paolo II nel 1984, che contemporaneamente lo dichiarò patrono degli artisti. E’ sepolto nella basilica romana di Santa Maria sopra Minerva. Egli trasse molto dal clima artistico e culturale nel quale visse, ma soprattutto trasse da se medesimo. La sua arte fiorisce nel silenzio di un chiostro domenicano e, nel raccoglimento della contemplazione egli concepì quelle immagini di cielo che poi doveva affrescare. Nessuno dopo di lui saprà dare agli angeli quegli occhi trasparenti di luce soprannaturale, quelle forme evanescenti come l’ombra di un sogno! L’Angelico è un lirico che sa cantare la gioia serena di uno spirito che anela all’unione col suo dio e il suo mistico fervore egli lo traduce nelle tele. Egli dipingeva così bene il Paradiso e gli spiriti celesti che fu soprannominato, l’Angelico. Egli amava particolarmente rappresentare l’Annunciazione di Gabriele alla Madonna e l’Incoronazione della Vergine a regina degli angeli e del Paradiso, il primo mistero gioioso e il quinto mistero glorioso del Rosario. E si potrebbe credere che egli abbia intravisto, per dipingerli, la Santa Vergine e gli angeli. Nelle sue opere questi hanno delle tuniche di un rosa o di un blu giacinto con stelle d’argento e d’oro. Giocano con diversi strumenti musicali quali tamburi, violini, arpe o trombe. Altri recano ceste di rose e rami di giglio. Talvolta danzano anche un girotondo celeste. Nel suo quadro “Incoronazione della Vergine” che potrebbe essere benissimo definita come una grande miniatura, si ritrova questa festa di luci e di colori, porporini ed oltremare, abbondanza di ori, cari soprattutto ai miniaturisti. Una fila compatta di angeli e santi scende dall’alto formando due curve piuttosto simmetriche. La scena diventa sempre più leggera e quasi immateriale a misura che si eleva. Fra il dondolarsi dei turiboli, si scorgono le trombe del concerto angelico mentre altri angeli, ai lati di Gesù, che incorona la Vergine, si tengono per mano ed eseguono gioiose danze. La dolce luce d’oro emanante dalla Madonna e dal suo Figlio divino, inonda tutto il quadro. Qualsiasi quadro dell’Angelico, visto in un museo, attira lo sguardo per lo splendore particolare della luce, ottenuta con un sapiente accostamento delle tinte. Nel “Giudizio Universale” una lunga teoria di angeli e di beati che sale al Cielo, scompare e ricompare dietro i cespugli fioriti. I loro profili snelli e chiari, con i lunghi vestiti a strascico, le ali degli angeli, l’oro luminoso sparso a profusione sulle stoffe, sulle chiome degli angeli, sui fiori del prato, la luce divina che inonda tutto il quadro ci fanno credere di essere davanti a una visione meravigliosa che, con l’artista, ci rapisce in soave contemplazione. Come abbiamo già osservato fra gli argomenti a lui preferiti c’è “l’Annunciazione”. In quella di Cortona e nell’altra di Montecarlo, si scorge il miniaturista che fa risplendere le vesti degli angeli con trapunti di oro e mette auree cancellate finemente disegnate a sfondo delle figure. Appare per la prima volta in questa scena il paesaggio primaverile con giardini stellati di fiori e con le eleganti arcate di un portico sotto il quale la Vergine riceve l’annunzio. Apparentemente somigliantissime, ciascuna di queste scene ha una propria vibrazione di colori e diverse prospettive architettoniche. Nell’Annunciazione di san Marco a Firenze, affrescata al sommo della scala che conduce al piano superiore del convento domenicano, tutto diviene più semplice: il chiostro, lo sfondo, il giardino, l’abbigliamento dell’angelo. E’ assai difficile esprimere con parole umane la grazia, la modestia, il sentimento religioso delle due figure.Nell’altra raffigurazione dell’Annunciazione sempre in san Marco, la scena giunge al massimo della purezza e della semplicità; scompare anche il giardino e sotto il nudo portico si svolge il dialogo tra la Madonna e l’angelo Gabriele. Anche qui, come altrove, una fiammella arde sul capo dell’angelo dai biondi inanellati capelli. Un altro bel tipo di angelo dipinto dal Beato Angelico è quello della “Risurrezione” anch’esso del museo di san Marco; lo spirito celeste siede sul sepolcro e col gesto e con l’espressione del volto annunzia alle pie donne la resurrezione del Signore. Ho già precedentemente ricordato “ l’incoronazione” in san Marco in cui la luce raggiante in densi fasci fa staccare dal fondo il Cristo e la Vergine e li separa da due cori lunati di angeli, in questo dipinto e in quella con gli angeli musici intorno alla “ Vergine del tabernacolo dei Linaioli”, più che mai l’angelico raggiunge il sommo dell’arte sua. Nelle altre “ Madonne in trono” egli dipinse ancora angeli nell’ambito di accostarsi alla loro Regina con tenero sentimento di filiale devozione; probabilmente il Beato Angelico nel rappresentare la natura angelica fu il più felice pittore italiano nonché cristiano. Parlando di arte è abituale riferirsi a un Rinascimento “cronologico”, di cui il Beato angelico è allo stesso tempo uno dei precursori e uno dei massimi esponenti. E’ importante però sottolineare fortemente che il Beato angelico è però antitetico a quel movimento che si svolge contemporaneamente e che potrebbe denominarsi come “Rinascimento ideologico”, che radunò intorno a se alcune delle somme figure dell’arte, della filosofia e della letteratura del tempo. Si tratta di un movimento ideologico perché vuol mettersi in netta opposizione tra la sua età e quella precedente. Per esso il Medioevo era stato contrassegnato da tenebre, superstizione e ignoranza. Al centro di questo movimento ideologico non si pone tanto la contemplazione di un Dio trascendente e creatore di ogni cosa, quanto della Natura (e a fortori, della natura umana), ritenuta la sorgente sempre più esclusiva da cui sgorga ogni bene e gaudio. Diversi critici d’arte, probabilmente troppo concentrati sui tecnicismi pittorici, insistono nell’inquadrare l’Angelico nel Rinascimento dimenticando che ciò che lo ispira è una mentalità e un idealismo che, a partire dal Rinascimento ideologico si farà sempre più assente nei tempi moderni. La sua pittura è un inno di gloria a due grandi edifici culturali e religiosi del duecento: la Somma Teologica di san Tommaso e la Leggenda Aurea dell’ altro frate domenicano Jacopo da Varazze. Il suo tentativo pittorico non è per nulla dipingere una umanità emancipata da questa cornice religiosa. Nel quadro “ San Tommaso d’Aquino”, esposto presso la Fondazione Cini a Venezia, il Beato Angelico ha voluto mettere in risalto l’armonia fra la santità e la ragione presente nel più grande intellettuale del suo Ordine religioso e di tutto il suo tempo. Due semplici punti neri a segnalare le pupille in un volto molto placido, ci rivelano la profondità e la serietà dei pensieri filosofici del grande teologo medievale. Contemporaneamente, l’aureola striata da raggi d’oro, sembra simboleggiare la potenza diffusiva di una logica pregna di fede.
Sono un domenicano ed esperto in critica d’arte nonché esperto della pittura toscana del Quattro Cinquecento.
Il lavoro di Stanzione è molto fantasioso e acritico. Errori storici ed anche contro corrente di una critica già sistematizzata dall’Argan e da altri.
L’Angelico per es. non era detto Angelico per la sua santità o altro, ma perchè l’Ordine domenicano, avendo già nella scienza teologica un dottore angelico cioè san Tommaso, ecco che lo si volle nella scienza delle arti liberali. E basta. Questo oltretutto risolve l’errore del Vasari che Stanzione segue contemporanea sull’Angelico, e già risolto dai più grandi critici come lo Spike lo stesso Argan etc; questo errore vasariano lo voleva un mistico trasognato quindi lontano dalla rivoluzione della pittura rinascimentale del suo tempo. Non è così l’Angelico come vero pittore ed umanista del suo tempo conosce la prospettiva e tutto ciò che comporta sullo studio profondo della matematica (penso qui al Brunnelleschi) delle lingue antiche etc.
Spiace leggere ancora racconti oleografici che fregiano l’Angelico d’essere un artista trasognato. Non ritocca la sua pittura e i suoi volti???? Molte volte ha ricostruito nei cartoni i mille affreschi come ad Orvieto. Aveva a capo una scuola di allievi ed apprendisti. Ciò non toglie che fu un vero figlio di san Domenico, ma calato nella cultura e nella rivoluzione rinascimentale proprio del suo tempo. ecco perchè artisti come il Michelngelo ed altri lo seguirono e lo imitarono.
p. Alberto Viganò op