La tragicomica fine di Scelta Civica
Amedeo Tesauro
Col Patto del Nazareno saltato, Matteo Renzi da decisionista qual è assicura che si va avanti anche senza Forza Italia. Ancora ubriaco del trionfo ottenuto alle elezioni del Presidente della Repubblica e dei nuovi risultati raggiunti (per chi se lo fosse perso: ricompattare il partito, passare come colui che decide, rompere le file avversarie), il premier si fa forza certo di proseguire nei suoi piani senza ostacoli (ma la minoranza PD sarà stata davvero placata?). Ecco allora che al PD si aggiungono ufficialmente i senatori di Scelta Civica, la compagine di Mario Monti che già da tempo si schierava a favore del governo. Svaniscono così anche gli ultimi residui di un’esperienza politica sui generis di cui in futuro si ricorderanno soltanto gli storici e gli statisti della politica. Mario Monti, Mario Monti chi?, scherza qualcuno, l’ironia è superflua, o quantomeno è talmente facile che pare di infierire sul più debole che non può difendersi. Eppure ha dell’incredibile la parabola del professore per chi ne ha seguito i passi con attenzione. Ha dell’incredibile la considerazione che l’ex rettore bocconiano ha ora rispetto a quella posseduta ai tempi del suo arrivo in politica. Ha dell’incredibile come a Mario Monti, oggi sbeffeggiato come un pivello incapace, fu dato il compito di ricostruire dopo il periodo berlusconiano, un passaggio criticato e controverso ma certamente auspicato da tanti. Ecco allora che Mario Monti si presentava come figura di prestigio internazionale, l’interlocutore giusto con cui parlare, l’uomo proveniente dal mondo bancario e perciò adatto al ruolo o semplicemente colluso con quegli interessi, a seconda delle correnti di pensiero. Nessuno metteva però in dubbio la caratura del personaggio, le lodi si sprecavano, fiorivano analisi su analisi sullo stile sobrio, grigio e dunque indicativo di competenza e serietà. Il governo dei tecnici doveva essere governo di provvedimenti duri, lacrime e sangue, governo di chi poteva permettersi le decisioni impopolari senza temere il contraccolpo elettorale. Ma la tentazione deve essere stata troppo forte, il gioco della politica troppo allettante per non cedere e formare un nuovo partito. Certo, nessuno pensava che Mario Monti potesse con un partito proprio vincere un’elezione e legittimarsi come premier o divenirlo nuovamente in un futuro prossimo. C’era però l’idea di entrare da protagonista nel panorama politico italiano e giocarvi un ruolo centrale, di mettersi in mezzo a Berlusconi e il PD (allora capitanato da Bersani) e raccogliere a sé quei voti che non sarebbero andati ai soliti duellanti, c’era l’idea di formare un terzo polo che contasse attivamente. E i voti per un terzo polo c’erano tutti, solo non lì dove li cercava Monti, giacché il terzo polo si realizzerà nell’esperienza grillina, lasciando Monti a sé stesso. Idealmente Scelta Civica e Mario Monti terminano già lì, a quelle presidenziali del 2013 che non danno un risultato netto per il paese ma ne danno alcuni per la politica: dentro i grillini, fuori gli uomini di Monti. Con un peso elettorale inutile in mezzo ai tre giganti, con una considerazione sminuita da provvedimenti poco popolari e per di più percepiti come inutili, Mario Monti svanisce lì. Lo stile sobrio è ora oggetto di ironia (non lieve come ai primi tempi, sferzante per dileggiare), il grigiore indice di scarsa personalità, o peggio di incapacità. Il resto è una lunga deriva da cui lo stesso Monti preferisce allontanarsi lasciando la guida del partito, ancora con un ruolo di senatore a vita ma una percezione generale negativa e beffarda, a cui lui stesso finisce col contribuire; ancora lo si ricorda lagnarsi di come il cane regalatogli dalla Bignardi in un’intervista lo abbia danneggiato, ottenendo per tutta risposta ironia e barzellette. Ora che i suoi senatori sono ufficialmente del PD non rimane più nulla, a parte lo stesso Monti che sembra un fantasma lontanissimo, di un’esperienza politica surreale che pur tuttavia ha segnato una nuova fase della politica italiana.