Da un Matteo all’altro

Angelo Cennamo

L’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica ha già prodotto un primo effetto: il patto del Nazareno, l’alleanza tra Matteo Renzi  e Silvio Berlusconi, quel clima di cordiale e fitta cooperazione che si era instaurato tra il giovane premier e il Cavaliere per riformare la legge elettorale e la Costituzione, e che aveva alimentato gossip e retroscena di ogni tipo, si è bruscamente interrotto. Non è la prima volta che Berlusconi inverte la sua strategia politica in modo repentino e clamoroso; era già accaduto ai tempi della bicamerale con D’Alema ( patto della crostata) e più recentemente nel voto di fiducia al governo Letta, negato e accordato a momenti  alterni, dopo un tormentato tira e molla con Alfano e i cosiddetti falchi del Pdl. Oggi l’ultimo strappo. Dopo averlo ammaliato e blandito quasi fosse il suo erede naturale, il Cavaliere annuncia un’opposizione a 360 gradi al governo Renzi e accusa il “Royal baby” di aver  esposto il Paese a una “deriva autoritaria”. Parole forti e di circostanza che servono al capo di Forza Italia per ricompattare quel che resta del suo partito e della ex coalizione di centrodestra, oggi alla ricerca di una nuova identità e di una nuova leadership. Per quanto dolorosa sia ( il patto del Nazareno, al di là dei suoi contenuti istituzionali, era anche una polizza assicurativa sulle aziende di famiglia contro un possibile accanimento di rivali politici e concorrenti) quella di Berlusconi è sembrata a molti  una scelta obbligata, quasi ineluttabile. Il Cavaliere cerca disperatamente di salvare il salvabile e di frenare la continua emorragia di consensi che sta sfibrando Forza Italia, dilaniata da una turbolenta  lotta intestina tra fedelissimi e ribelli fittiani che rischia di trascinarla, ora più che mai, in un vortice autodistruttivo. Poteva fare altrimenti, Berlusconi? Difficile dirlo. Quel che è certo è che la schizofrenia del Cavaliere, ieri convinto riformatore assieme a Renzi, a dispetto di ogni critica, oggi suo rivale politico a tutto tondo, non è detto che lo ripaghi nel breve periodo. Oltretutto la sua presa di distanza dal premier, più che ad una migliore riflessione programmatica e organizzativa interna al partito, sembra quasi esclusivamente finalizzata alla creazione di nuovi apparentamenti politici. Berlusconi pensa evidentemente che i problemi del centrodestra siano solo una questione di algebra, e che gli basti sommare i numeri di due o tre partiti dello schieramento di destra per ritornare a vincere. Non è così. Né può pensare il Cavaliere di stringere un’alleanza con Salvini prescindendo dalla linea lepenista che il successore di Bossi sta cavalcando con successo anche al di sotto del Po, e dai rapporti di forza oggi cambiati rispetto ai Lumbard della seconda Repubblica.   Forza Italia intende forse rinunciare alla sua identità liberale legata alla tradizione del popolarismo europeo  per imbracciare i forconi della protesta contro Bruxelles? Vuole chiudere definitivamente la porta a quelle timide aperture sui diritti civili che hanno portato la Carfagna, Cecchi Paone e pochi altri a discutere di unioni gay e roba simile? Sono queste le domande che deve porsi il Cavaliere prima ancora di preparare le liste elettorali per sconfiggere l’ormai ex pupillo Renzi.  Dubitiamo che lo farà. Ma forse agli elettori forzisti queste distinzioni non importano più di tanto; quel che conta è vincere. Per fare cosa, poi si vedrà.