Papa Francesco: quali linee per il mondo cattolico?
di Rita Occidente Lupo
Una Chiesa aperta, non chiusa nella casta della propria mentalità ritualistica, quella che Bergoglio porta avanti, invitando ad accogliere gli emarginati. Una Chiesa che da tempo guarda con attenzione a realtà finora tenute al palo, tra mille polemiche. Nella babele imperante, nella caduta dei valori, alla quale pare ormai tutti avvezzi, il bisogno di linee guida chiare, per quella fetta del mondo cattolico, avvezzo a vivere la comunione col Magistero, in un percorso di fede salvifico. Ed invece, ancora una volta dal Pontefice argentino, l’invito a girar pagina, a svoltare da pregiudizi e falsi convincimenti. Facendo diventare tutto evanescente, per le nuove realtà che il nostro tempo vive: nel momento in cui i registri comunali s’impinguano di unioni omo e la fecondazione eterologa, lancia l’Sos per la ricerca ovocitaria. Nel momento in cui i sacramenti ai divorziati, amministrati a discrezione dei singoli presbiteri e l’aborto, in sordina, offre con le sue vittime, il silente tributo al tempo. In una bailamme che vive sotto la spada di Damocle, gli orrori jihadisti, il cattolico praticante vorrebbe capire più chiaramente come muoversi, agire, pensare. Riuscendo a lodare Dio per la prole numerosa, un tempo stimato dono del cielo, come la famiglia Anania a Sanremo, contrariamente all’appello del Pontefice “non fate figli come conigli!” L’ennesimo invito di Bergoglio all’apertura verso gli esclusi, rischia di azzerare l’ossatura che dal vecchio catechismo, alle nuove encicliche, ha segnato generazioni. E se Panariello ha rubato la scena sanremese, riuscendo a parlare di “peccato” tra gli applausi generali, riandando anche ai sette vizi capitali, oggi nel dimenticatoio, come mancanza sociale, proprio la Chiesa tace non solo il risvolto contemporaneo dei Comandamenti di Benigni, ma le stesse leggi veterotestamentarie. Defenestrata la preghiera, ridotta ad arbitrario colloquio individualistico, accantonati i dogmi della fede, ignorando i precetti, resta ben poco: un Dio d’amore, che porta avanti Bergoglio, che si china sull’uomo, essendosi incarnato, pur sempre Colui che ha predicato, vissuto, operato, indicando la condotta da emulare, per giungere alla salvezza. Di questo, oggi, non si parla più nè dentro nè fuori dalle sagrestie. Come del male, che riconfinato tra gli steccati di una cultura medievale, pare affidato solo alla Commedia dantesca. Forse, in quell’apertura di cui parla Papa Francesco, il rischio che per salvare la pecora smarrita, si perda il gregge! Che per avvicinare i lontani, si perdano i vicini! Che per non giudicare, si finisca per non rimandare più la strada da percorrere…e così, tutto diventa relativo, soggettivo, poco attrattivo. Non sarà forse questo il motivo per cui anche i cristiani della domenica, proprio la domenica, da un bel pezzo hanno optato per altri tipi di riempitivi, saltando anche la partecipazione alla celebrazione eucaristica? Nell’ottica del nuovo, un Vangelo riposto, senza mediazione , in nome del modernismo, anche da quelli che un tempo, fedeli osservanti, assertori di un cammino di croce, per la gioia eterna!