Manovre in RAI e lo spettro del conflitto d’interessi

Amedeo Tesauro

C’è fermento attorno al servizio pubblico, dovuto al prossimo mutamento dell’azienda. A poco più di dieci anni dalla legge Gasparri si ritorna sul tema della concessionaria pubblica, un tema ovviamente caldissimo. La riforma Rai, per il quale il premier vorrebbe anche la forma del decreto legge, prevede un riassetto dell’informazione targata Viale Mazzini, con una convergenza delle redazioni giornalistiche così come avviene negli altri paesi. Perfino al neofita appare assurda la situazione relativa all’informazione Rai così come strutturata fino ad oggi: una redazione giornalistica per ogni rete (Rai 1, Rai 2, Rai 3, Rai News 24), ognuna di queste con il proprio notiziario e la propria linea editoriale, la quale rimanda purtroppo ancora alla tragicomica impostazione italiana che generò la lottizzazione. Ovvero quando per garantire il pluralismo dell’informazione si pensò bene di orientare in maniera diversa le rispettive reti televisive, piuttosto che eliminare la politica dall’azienda creando un’informazione superpartes. La riforma nelle intenzioni è un intervento necessario per cacciare i partiti fuori dalla Rai, tant’è che prevede anche nuovi meccanismi di nomina per i dirigenti in carica, andando difatti a modificare la precedente legge Gasparri. Ovviamente è proprio l’ala di centrodestra ad opporsi alle modifiche di una legge che a suo tempo costituì una vera e propria battaglia parlamentare. L’offensiva di Berlusconi è però un’altra: nella stessa settimana in cui la riforma Rai prende piede la società Ei Towers, azienda che opera nel campo delle infrastrutture e di cui Mediaset è azionista al 40%, ha presentato un’offerta per Rai Way, la società che gestisce le torri di trasmissione dell’azienda pubblica: praticamente Mediaset che tenta di comprare le infrastrutture RAI. La vicenda ha immediatamente suscitato un polverone dato il possibile acquirente, spostando la questione sulla tematica politica piuttosto che sui vantaggi e i limiti dell’operazione per il sistema delle telecomunicazioni italiano. Difatti è una circostanza tutta italiana avere due grandi operatori sullo stesso territorio, negli altri paesi è un’unica società a gestire tali risorse. L’offerta è solo l’ultima delle manovre di Berlusconi: due settimane fa aveva venduto circa il 7% delle quote Mediaset, di poi la sua Mondadori si è interessata con una manifestazione d’interesse non vincolante al gruppo Rizzoli-Corriere della Sera (RCS) prefigurando un unico grande polo del libro, ed ora l’offerta per Rai Way. Ecco allora che magicamente ritorna lo spettro del conflitto d’interesse, il nodo gordiano di vent’anni di politica italiana che per assurdo nemmeno quando le sinistre erano al governo è stato affrontato seriamente. C’è chi ha immediatamente visto nell’offensiva berlusconiana la risposta al decisionismo di Renzi e alla rottura del patto del Nazareno, ma il premier si è affrettato a rispondere che non si tratta di manovre e ripicche politiche, ma di semplici transazioni economiche, specificando inoltre che Rai Way in ogni caso deve rimanere al 51% in mani pubbliche. Certo è che il rinnovato interesse per il mai sopito conflitto d’interesse costringe ancora una volta alla solita battaglia narcisistica incentrata sulla figura di Silvio Berlusconi, e ancora una volta sarà impossibile disquisire realmente dei meriti e dei demeriti dell’operazione. Del resto è il destino di un’anomalia italiana divenuta col tempo caso da manuale, ma che all’atto concreto ancora dopo vent’anni pone interrogativi che ostacolano una reale discussione su certe tematiche.