La Chiesa in cammino tra antichi e nuovi modelli culturali

Fulvio Sguerso

Potremmo definire questo nuovo testo di Giampiero Bof (Evangelizzazione. Appello, promessa, dono, Natrusso Communication, 2009), pensato nella prospettiva del Convegno diocesano svoltosi nel giugno scorso e accompagnato dalle qualificate testimonianze di cinque suoi confratelli anch’essi operanti nella Diocesi di Savona-Noli (Silvio Del Buono, Franco Parodi, Giuseppe Noberasco, Giovanni Lupino e Claudio Doglio), prendendo in prestito tre parole del suo titolo: un appello, una promessa, un dono offerto da un ministro della Chiesa di Dio in prima istanza ai cristiani, ai religiosi e ai laici cattolici, evangelici od ortodossi, senza tuttavia escludere quegli agnostici e quegli atei che si sentano interpellati dal Vangelo. Nel primo capitolo, intitolato “Evangelizzazione e missione”, l’autore, nel paragrafo dedicato alle chiarificazioni preliminari, delinea così queste due nozioni: “Duplice è l’intenzione che sta all’origine dell’istituzione della Chiesa: l’evangelizzazione,intesa come testimonianza resa al Vangelo, e la diaconia, quale servizio agli uomini. Intenzione e origine determinano le caratterizzazioni essenziali della Chiesa, e si riflettono come esigenze, dono e impegno di ogni esistenza cristiana; specificamente, si rapportano all’apertura universalistica della vocazione cristiana, come accade, del resto, per le religioni che tendono a superare la cerchia del tribalismo, e del regionalismo e di qualsiasi altra determinazione che ne limiti l’orizzonte: solo a questa condizione il cristianesimo può pretendere a manifestarsi segno e strumento della salvezza del Dio biblico, per l’intero creato. Pertanto la Chiesa e la sua missione restano coinvolte nella vicenda storica”. E infatti il teologo Bof si interroga e ci induce a interrogarci sulla missione ecclesiale, sui modi e sulle forme che l’evangelizzazione ha assunto nel corso della storia del cristianesimo che, almeno a partire dalla caduta  dell’impero romano d’Occidente, coincide fondamentalmente con la nostra storia, la cui cronologia non per caso ha come riferimento la nascita di Cristo. E nondimeno appare di per sé evidente che un conto è parlare dell’opera evangelizzatrice e missionaria della  Chiesa apostolica quando, dopo il periodo dell’attesa e del nascondimento “in riposte mura”, su di lei “lo Spirito/ rinnovator discese”, e da quel “sacro dì” cominciò a predicare il Vangelo alla luce del sole e della storia  – che, all’epoca, era quella imperiale romana -; un altro quando l’Europa cristiana era devastata dalle guerre politico-religiose tra protestanti e cattolici e la Chiesa romana era impegnata a riformarsi in capite et in membris e a dare attuazione alle deliberazioni del Concilio di Trento; un altro  durante e dopo l’azione pastorale ed ecclesiale di Pio IX ed eventi come la definizione dell’Immacolata, l’enciclica “Quanta cura”, alla quale si aggiunse il Sillabo (8/ 12/ 1864), “documenti sostenuti dalla convinzione che la fine della cristianità medioevale, la rottura dell’identità tra fede e cultura, la lacerazione prodotta dalla Riforma protestante fossero all’origine di tutto il mondo moderno, identificato con una serie di errori, coagulatisi nella rivoluzione francese e nell’anticlericalismo liberale, giunti alla loro radicalizzazione nell’ateismo socialista”, e il Concilio Vaticano I, che definì il primato e l’infallibilità del Papa; un altro ancora quando, come avviene ai nostri giorni, dopo il Concilio Vaticano II, i significati stessi di evangelizzazione e di missione assumono connotazioni affatto nuove e inedite, tanto che due  nuovi termini sono comparsi nell’orizzonte ecclesiologico: inculturazione e nuova evangelizzazione. Come mai? Non bastavano i concetti tradizionali di missione e di predicazione così come enunciati in Marco 16, 15 e in Matteo 18, 20? Qui si aprono diverse e delicate questioni non solo teologiche e storiografiche ma anche molto concrete riguardo alla quotidiana attività pastorale e catechetica del clero e del laicato cattolico, al rapporto o “commercio” dei cristiani con il “mondo”, all’atteggiamento verso i credenti in altre religioni o verso chi non ne professa alcuna, o verso quei battezzati che, per i motivi più svariati, hanno perso la fede; all’accettazione o al rifiuto della modernità configuratasi come netta separazione (quando non contrapposizione) tra Stato e Chiesa e come fede illuministica nella ragione, nella scienza e nel progresso e conseguente secolarizzazione; ai nuovi problemi etici, o meglio, bioetici e biopolitici derivati proprio dai continui progressi della ricerca scientifica e tecnologica, soprattutto in campo biologico e medico e, insomma, riguardo a tutte quelle questioni che caratterizzano il discorso pubblico odierno e al quale la Chiesa non può rimanere estranea, sia in quanto istituzione anch’essa storica e mondana, sia in quanto depositaria della tradizione apostolica fondata, in prima e ultima istanza, sulla Parola di Dio. Nondimeno questa tradizione , se non intende rimanere lettera morta, deve continuamente aggiornarsi e appunto “incarnarsi” nella società e quindi nella cultura del tempo in cui si trova a vivere, senza però snaturarsi perdendo la propria specificità ma anzi divenendo evangelicamente il lievito e il seme che feconda le culture nelle quali opera: “Non si tratta di riduzione o di annacquamento del Vangelo, di eclettismo o di sincretismo; bensì di un processo, che è proposta della integralità evangelica, nella forma della assunzione critica di una cultura, della sua trasformazione in forza del Vangelo medesimo, secondo i ritmi necessari della storia: la inculturazione è necessaria proprio per la trasmissione effettiva del Vangelo nella sua identità e pienezza. Come Parola di Dio che esprime la sua intenzione universale nel farsi chiamata e centro di accolta , entro determinate coordinate spazio-temporali e storico-culturali – ekklesia locale – , di tutta l’umanità: la croce che dice esplosione nelle quattro direzioni del mondo”. Dunque il concetto e l’atto dell’inculturazione coincidono in gran parte con la nuova evangelizzazione. Ma la croce è anche segno di contraddizione e di conflitto, non tanto e non solo tra cristiani e pagani, ma tra cristiani e cristiani e tra l’uomo vecchio e quello nuovo all’interno  di ciascuno che non voglia più essere debitore verso la carne ma verso la Spirito. Questo conflitto si manifesta anche sul piano teoretico come opposizione di modelli culturali, nella fattispecie tra quello cosiddetto della presenza e quello della mediazione; mentre il primo “fa leva sulla forma dell’immediato essere riconosciuti perché visibili, e quindi incline a privilegiare le zone dell’avere e del possesso, dell’organizzazione e dell’accertamento” (Italo Mancini), il secondo fa leva sulla coscienza, o meglio, sull’autocoscienza, sull’appercezione di sé, sulla cultura in cui si è immersi e che condiziona i nostri giudizi, quindi sull’uomo in quanto “luogo principe della mediazione. L’Io dice già mediazione, anzi è costituito da una mediazione tra il Me e l’Io: Io sono presente e mediato a me stesso!”. Il modello della presenza invece, osserva ancora Mancini, “nasce dal risentimento; è il risentimento della paura, e la presenza diventa polemica e minacciosa in doppio senso: o nel senso che si ritira in spazi propri ben gestiti con volontà revanscista; oppure, sempre ritirati nei propri spazi, con luoghi, cose, giornali, mass-media connotati come cristiani, si sottrae agli altri la comunione e la collaborazione, quindi in preda alla logica del tento peggio (per voi) tanto meglio (per noi)”. Una logica che non sembra proprio ispirata all’evangelico secondo comandamento: “ama il prossimo tuo come te stesso”; per fortuna, anzi, per grazia di Dio, esiste anche il modello della mediazione umana, e soprattutto quello della mediazione divina, la mediazione originaria tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che può, ancora e sempre, attraverso la croce, salvarci dall’egolatria più o meno inconscia che tanto più ci minaccia quanto meno amiamo. E su questo modello della mediazione trinitaria si ferma per il momento il discorso, e l’excursus, teologico, storico ed ecclesiologico sull’evangelizzazione del discepolo di Cristo Giampiero Bof, ma senza preclusioni verso altri modelli complementari o altre soluzioni: “Per altre migliori, si rifletta, si ricerchi e si speri”.