Riflessioni sulla felicità

 Giovanna Rezzoagli

Lo scorso 24 settembre, su queste pagine, l’Avvocato Angelo Cennamo offriva un prezioso spunto di riflessione con la sua “Lettera sulla felicità”. Prezioso in quanto invita a riflettere su cosa rappresenti soggettivamente questa emozione, e, soprattutto, cosa possa renderci felici. Sempre su queste stesse pagine, ma in data 17 maggio, veniva pubblicato un mio contributo intitolato: ”La felicità, l’emozione che colora la vita.”, in cui era mio intendimento proporre al lettore alcune nozioni in merito alla componente biologica di questa emozione. Componente che incide profondamente nel nostro quotidiano, al punto che si può persino “imparare” ad essere felici. Tutti noi possediamo una memoria di tipo emotivo (ricordiamo cioè le emozioni e gli eventi che le hanno generate utilizzando aree cerebrali specifiche), che inizia la propria attività già durante la vita intrauterina, per poi arricchirsi ed espandersi per tutta la vita. Come tutte le nostre facoltà, anch’essa va esercitata per essere conservata nel tempo. In sintesi: un bimbo sereno che sperimenta emozioni positive in un ambiente non stressogeno avrà molte più probabilità di sviluppare un atteggiamento aperto e fiducioso nella propria esistenza, avendo sviluppato percorsi neurali che saranno più ricettivi ed attivi di fronte a stimoli “positivi”. La natura mostra elementi di simmetrica e quanto sopra esposto è valido anche al contrario:  un bimbo che vive situazioni di disagio, di scarso accadimento, che vive esposto a stimoli che generino ansia eccessiva, svilupperà una marcata predisposizione a pessimismo, scarsa fiducia in se stesso, persino a scivolare in condizioni di disturbi psicopatologici. Il vissuto incide profondamente sullo sviluppo cerebrale. Le neuroscienze applicate dedicano molta attenzione alle connessioni tra emozioni ed attività cerebrale, oggi con grandi risultati grazie allo sviluppo delle tecniche di diagnostica per immagini. Pensare di poter essere felici nel futuro implicitamente significa non ritenersi felici nel qui ed ora. Mi permetto una riflessione personale che mesi fa non sarei stata in grado di elaborare. Ciascuno di noi ha i suoi personali motivi di felicità, ed augurarsi di provare felicità in futuro è certamente positivo. Ma chi tra noi è davvero sicuro di poter vivere il proprio futuro? Nessuno. Quando godiamo di una salute accettabile e non abbiamo problematiche contingenti, forse non possediamo piena  consapevolezza di quanto siamo fortunati e di quanto ciò potrebbe renderci sereni. Improvvisamente può capitare che in poche ore la vita ci si ribalti completamente addosso, e che si impieghino mesi o anni per ritrovare le forze per alzare la testa. O per trovare la forza di provarci. In  situazioni di questo tipo cambiano i parametri per essere felici, eccome se cambiano. Io ho sempre amato la pioggia, ascoltare il suo rumore quando cade, osservare le goccioline che si rincorrono sulle stecche di una ringhiera, odorare il profumo dell’erba dopo un temporale. Piccole cose, penserà chi legge, cose banali, da nulla. Vero, per me preziose. Questa estate sono trascorsi più di sessanta giorni consecutivi senza pioggia, sono stata immensamente felice, per un attimo, quando dopo tanto tempo è piovuto. Immensamente felice che la pioggia sia caduta, immensamente felice di riascoltarla senza che in quei sessanta giorni nulla sia mutato nel quotidiano. A volte la vita ricorda con crudeltà che puoi vivere solo un giorno dopo l’altro. Allora scopri che puoi essere felice oggi, per un istante solo forse, ma sei incredibilmente fortunato per aver ricevuto questo dono.