Samaki, pesce
Padre Oliviero Ferro*
Io non ero molto abituato a mangiare il pesce. Ma da quando sono stato in Africa, nella missione di Baraka (Congo rd), ho cominciato ad apprezzarlo. Davanti a noi, c’era il lago, pieno di pescatori. Ogni sera, li vedevamo partire alla pesca, con le loro piroghe. Accendevamo le lampare per attirare i pesci. Non sempre la pesca portava i frutti voluti. Ma quando al mattino dopo, si andava alla spiaggia per accoglierli, era bello vederli sbarcare le cassette di pesce. E’ vero, c’era sempre qualcuno della dogana o altri funzionari che chiedeva la propria parte. Poi, si poteva comperare quegli “oggetti” argentei, luccicanti. Gli ndagala (tipo pesce azzurro, come le alici) erano i miei preferiti: Si potevano fare fritti, oppure bolliti insieme alle cipolle. Erano un po’ come le ciliegie. Non si finiva mai di mangiarli. Altri pesci, come il mikeke, che venivano lasciati seccare sulla spiaggia, si potevano portare in viaggio. Ma il migliore, naturalmente, era il capitain. Spesso venivano fino alla missione ad offricelo. Ci volevano due persone che lo portavano appeso a un bastone. La sua lunghezza era da un metro e mezzo in su. Dopo che il cuoco l’aveva preparato, ci si poteva leccare i baffi. Buonissimo. Spesso vedevamo le mamme che sulla spiaggia raccoglievano i pesci, seccati al sole. Li mettevano in grandi sacchi per poterli vendere nella grande città. Era un lavoro faticoso, ma che procurava loro un po’ di soldi per la vita della famiglia. Ma lo spettacolo più bello era quando si ritornava di notte con il battellino sul lago. La luna mandava la sua luce sulle onde del lago e gli ndagala venivano a galla e si lasciavano cullare tra quei raggi. Era bellissimo. C’era un silenzio e una pace e tanto tempo per pensare e per ringraziare il Buon Dio.
*missionario saveriano