Recuperare cultura contadina nei paesi senz’anima!
Giuseppe Lembo
Purtroppo siamo di fronte a scenari completamente nuovi, dove il mondo della vecchia cultura contadina è stato cancellato da un fare consumistico che ha messo da parte l’ESSERE ed i valori dell’ESSERE, facendo credere che si vale unicamente per quello che si consuma; tanto, nella più assoluta indifferenza per lo sviluppo umano che, così facendo, anche nelle periferie rurali, anche nei tanti Paesi dell’anima, è diventato sviluppo assolutamente negato. Le tante identità territoriali sono purtroppo lontane da noi; è impresa ardua se non impossibile, il solo pensare di proteggerle e riportarle a nuova vita. Tanto, non è assolutamente possibile; chi lo pensa, non fa altro che sognare ad occhi aperti. C’è una così forte e diffusa contaminazione in atto per cui è assolutamente impensabile che si possano trovare forme di utile protezione e rigenerazione di un passato identitario ormai cancellato. Bella ed anche saggia la proposta di adottare come protezione la “costruzione identitaria del sistema locale”. Innanzitutto, c’è da chiedersi se esiste ancora un sistema locale e quali siano concretamente i suoi riferimenti antropici e culturali sui territori; quali gli stili di vita autoctoni che andrebbero recuperati per una saggia conservazione identitaria che, passando per il presente cancellato, possa diventare futuro possibile. Il recupero senz’anima dei centri storici, dove tra l’altro, si tolgono sempre più le pietre parlanti per trasformarle in “altro” ambientale, assolutamente discutibile. In un altro soprattutto antropologico, senza tempo e senz’anima, con grave indifferenza per quel mondo dei vecchi mestieri che riempiva di vitalità amica i Paesi senz’anima in ogni angolo, in ogni stradina dal volto umano e parlante di uomo; siamo, purtroppo e sempre più, in condizioni assolutamente diverse, con il tutto antropico cancellato dal nuovo consumistico, con alla base un divino tecnologico che non ha lasciato spazi utili per il fare umano, basato essenzialmente sulla creatività dei cervelli e sulla laboriosa manualità, un tempo preziosi per l’uomo, in quanto erano le due risorse umane che facevano comunicare il mondo e realizzavano le produzioni a misura d’uomo, dando a ciascuno di esse il giusto senso e che, così saggiamente trasmesso, lo si ritrovava negli stili di vita, con comportamenti fortemente territoriali, così come nella lunga storia dell’uomo. Purtroppo, i tempi sono profondamente cambiati. Oggi anche gli ambiti delle umanità locali, sono ambiti, per modelli di vita, fortemente influenzati ed allargati al resto del mondo, dove e prima di tutto, c’è il dio consumo forte espressione di un insieme universale, assolutamente indifferente e poco rispettoso della cultura materiale ed immateriale del sistema locale in cui viviamo, sempre più difficile da conservare, evitandone le aggressive forme di contaminazione esterna. Fare sistema localmente non è assolutamente facile. Tra l’altro, sarebbe un’operazione poco utile, in quanto in sé non avrebbe la forza per ridare un’anima ai territori fortemente desertificati ed assolutamente incapaci di attrarre risorse umane dalle braccia ed ancor meno dai cervelli già da tempo in fuga per il mondo, negandosi, così facendo, alla Terra dei Padri. Al Sud, alla Campania, al salernitano ed alle tante sue aree interne fortemente dismesse non giova sognare; non giova il pensiero anche saggio, delle cose e soprattutto delle umanità proibite, perché da troppo tempo abbandonate a se stesse. Al salernitano delle aree interne fanno bene le idee, sempre che, cammin facendo, possano diventare idee del fare; idee di un fare condiviso, capace di creare il tanto atteso cambiamento e sviluppo, per così restituire alla gente ancora non fuggita ed ai tanti cervelli e braccia in fuga dalle Terre dei padri, per cercare altrove mondi umanamente condivisi da riportare a casa per farli vivere là dove sono nati, mettendoli in una sana sicurezza di vita, tanto da potersi sentire uomini veri a casa propria e così costruirsi il futuro a più mani, un’importante risorsa di vita sia individuale che d’insieme umano e sociale. Purtroppo ed io me ne rammarico profondamente, la dimensione dell’avere e dell’apparire fa sentire protagonisti di vita solo consumando; è una dimensione che unisce l’Italia dal Nord al Sud e non si salvano, tra l’altro, i territori ed i tanti Paesi dell’anima, fatti di tante piccole realtà identitarie considerate nello scritto di Beppe Carpentieri, come possibile salvagente; come ancora di salvataggio che può favorire la rigenerazione anche dei territori minori, coinvolgendo la gente nel “percorso educativo”.