Mercato San Severino: grande spettacolo “Teatro stanco”

Anna Maria Noia

Grande spettacolo, gli scorsi 7 ed 8 febbraio, al teatro comunale di Mercato S. Severino: di scena l’ensemble “Civico 14” – una compagnia innovativa composta da validi e giovanissimi interpreti – con “Teatro stanco”. Il team è sorto recentissimamente: nel giugno del 2016. Tra i fondatori: Michele Capuano, 28enne attore e regista di origini salernitane (la famiglia è di Castel S. Giorgio) – che studia cinematografia e drammaturgia a Roma – e la milanese Martina Cavazzana. Fanno parte di “Civico 14”, in tutto, più di quindici elementi tra attori, fonici, truccatrici, cameraman, costumisti, elettricisti e compositori delle musiche a cornice della rappresentazione. Truccatrice “ufficiale”, Veronica (La) Beffa; costumista: la romana Francesca Delmirani. Cameraman è invece Giovanni De Rosa; fotografo, Filippo Giusti. Tra i fonici, ricordiamo invece Marco Califano, Biagio Masi, Franco Violante. Per le musiche, un plauso va al 29enne Marco Foscari – figlio del docente universitario all’università di Salerno, Pino – collaboratore de La città di Salerno. Con l’esibizione dal vivo, tra tastiere e sintetizzatori, Foscari ha dimostrato tutta la sua valentia in diretta; grazie ai suoi spartiti, per tale pièce, è stato insignito di un riconoscimento quale autore degli interventi melodici più indicati al contesto di “Teatro stanco”. Ciò nell’ambito del festival “Testaccio comic off”, che si tiene a Roma. Ma c’è altro tanto, tanto lavoro dietro le quinte e tra le scene, in mezzo al sipario – dunque onore e merito non solo ai protagonisti che mettono in atto il copione, bensì a tutti coloro che allestiscono e mettono in piedi un qualsiasi spettacolo. E vogliamo ricordare, però, i protagonisti coi loro personaggi: sulla fossa dei leoni ecco Michele Capuano – che ha scritto la commedia, metafora della presunta “obsolescenza” del teatro, destinato ahimè a finire (ma non sarà così) – e poi Riccardo Morgante, la già citata Cavazzana, Lorenzo Pettenati, Matteo Simone e Karun Grasso. La rappresentazione, durata circa due ore, intende essere una significativa e peculiare similitudine della drammaturgia e del teatro nei confronti della cosiddetta “modernità”, delle nuove tecnologie. Un’eterna sfida tra attualità e passato, tradizione – con incontri e contaminazioni tra teatro classico, rappresentato dal sognatore e poetico, struggente William (altra metafora per Shakespeare) e dal più pratico e realistico Eduardo (De Filippo), e poi prima cinema (col nevrotico Augusto Luigi, per i fratelli Lumiere), poi tv (con la moglie di Augusto Luigi, Raimonda Tivi) e infine web e rete (grazie al simpatico e dinamico Webby, personaggio ritagliato appunto dai social media). Sullo sfondo, ma non tanto – in definitiva – l’impresario detto “Maestro”, a simboleggiare proprio il teatro – con richiami a Godot di Beckett e, naturalmente, a Shakespeare e ai De Filippo. Una riflessione esilarante, ma dal retrogusto amaro e con tantissimi spunti di riflessione. Un viaggio tra tutte queste realtà (antiche, moderne, post-moderne) e tra i nuovi modelli di comunicazione e di trasmissione… Un dialogo tutt’altro che sterile, anzi: avvia il confronto! Sei personaggi, idealmente pirandelliani e idealmente in cerca d’autore. E nello spettacolo si ravvisa anche un certo intento di denuncia verso le “meravigliose” tecnologie del secolo breve (il XX) e di questo inizio del XXI. Ed infatti, il teatro di Capuano e dei suoi è… “stanco” in quanto considerato “vecchio”, se non inutile: oggigiorno contano le apparizioni (tra il falso e il verace, tra tragedie personali e pubbliche e la freddezza impietosa della telecamera che ti fissa) in tv e soprattutto le ipocrite identità ed identificazioni dietro lo schermo di computer, tablet, smartphone ed altri ritrovati on line. Dunque un testo problematico, che porta a delle domande – ben interpretato dai giovani in scena. Una scena minimalista ed essenziale, sobria, in cui si intrecciano i rapporti comici o parossistici di questa lotta tra Titani (appunto il teatro che flirta con il cinema e con la televisione, dopodiché tutto termina col web). Luci soffuse e sapientemente dosate dai responsabili di scena. Il teatro “Stanco”, venduto dal “Maestro” e dai suoi collaboratori (Eduardo e William) – in quanto c’è crisi e la gente non si affolla al botteghino – viene acquistato da Augusto Luigi e dalla futura moglie Raimonda Tivi. A ricordare il… “vecchiume” sul palco (all’inizio), solo una vetusta macchina da scrivere – utilizzata in particolare dal timido William, che si innamora della bella Raimonda – e un’antica caffettiera, riportata sul manifesto dello spettacolo. La recitazione – nel complesso – ci è risultata avvincente, briosa, leggera (anche se il contenuto è ben pesante) e senza particolari vuoti scenici. Molto evidente, la corporeità. Resta sospesa la questione dell’identità/identificazione da parte dei personaggi – sballottati tra un mondo (la recitazione) e altri – quelli, per intenderci, delle immagini televisive o cinematografiche o elettroniche. In una scena, Eduardo e William – svestendosi e rivestendosi – si ritrovano a parlare da solo a solo allo specchio, mettendo in evidenza le loro fragilità e le nevrosi che li contraddistinguono; dapprima pare che sia Eduardo a voler accettare i “compromessi” della sua professione, cioè quella di attore che poi diviene imbonitore in trasmissioni stereotipate, in seguito a una fallimentare esperienza nel cinema. Il nervoso e angosciato William – invece – pare sicuro di non volersi piegare, ma sarà quello che, pur di partecipare alla trasmissione “Pomeriggio in famiglia” con la Tivi, non esiterà a “decretare” – sebbene non vi siano apparentemente responsabili – il suicidio del problematico Augusto Luigi. Insomma, argomentazioni profonde che giungono al proprio Io – quelle relative alla immagine, alla iconicità del nostro tempo – frettoloso e impaziente, diviso tra i mass media “tradizionali” e quelli innovativi (scontro tra gli apocalittici ed integrati, come li definiva Umberto Eco). Da noi intervistato, Michele Capuano afferma che “La recitazione e l’avvento delle nuove tecnologie possono e anzi devono andare di pari passo”, “i nuovi dispositivi devono venire utilizzati nel nome e per conto della drammaturgia tradizionale. Qualsiasi nuova invenzione è di per sé positiva, dipende dall’uso che se ne fa”. Invece, la giovanissima (27enne) Martina Cavazzana – da Milano a Roma fino al profondo Sud – dichiara: “Per me il teatro non è mai troppo stanco, terminale. Io ho sperimentato anche copioni drammatici, anzi ho debuttato con quelli. La passione per questo genere mi ha sempre preso tantissimo, ho fatto molta gavetta e ho vissuto anche esperienze all’estero. A mio avviso è sempre utile, fondamentale formarsi fuori dall’Italia. Però poi ognuno trova la sua strada, il percorso che vuole intraprendere. Contrariamente a quanto si possa pensare – dice ancora Martina – il guadagno di un attore professionista è inferiore a quello di molti dipendenti pubblici. Comunque questo è un mestiere che dona enormi soddisfazioni sia morali che materiali. Quando salgo sul palcoscenico, avverto un mix di tensione, adrenalina, emozioni. Ciò appena prima di andare in scena, poi – grazie alla passione – tutto si supera”. La truccatrice, Veronica Beffa, ci parla invece della difficoltà – per chi vive nel mondo del teatro – di conciliare professione e famiglia. “Sono fidanzata – esprime – ma se dovessi crearmi un nucleo familiare penso non sarà facile sostenere tutti questi impegni. Conosco i grandi attori come De Filippo e anche Proietti, spero che vengano sempre ricordati dai posteri, dai giovani – molto più interessati alle nuove piattaforme digitali e virtuali”. E dice la sua anche Karun Grasso: “Io incarno, sulle scene, il Maestro – un anziano impresario che alla fine deve, per forza di cose, vendere l’amato locale in modo da far fronte alle spese. È quanto rappresentato ai tempi di oggi, almeno in Italia”. Tutti validi, quindi, questi virgulti che – nonostante la giovane età e le proprie quotidiane occupazioni o la passione per Internet – mettono ancora a disposizione le loro forze in nome dell’amore per il teatro… “stanco”.