La diffusione dell’ignoranza

 Salvatore Ganci

Quando in terza Liceo Scientifico iniziavo il corso di Matematica, ponevo sempre alla classe la stessa domanda “propedeutica” atta anche a saggiare se ad un concetto semplice corrispondesse anche un adeguato uso del lessico. La domanda l’ho posta 26 volte per 26 anni: “chi mi sa dare la corretta definizione di “valore assoluto” di un numero?”. Senza eccezioni di sorta (i più bravi, intuita una insidia preferivano sonnecchiare) le risposte erano: “è il numero senza segno” o “è il numero preso senza segno”. Dopo una certa opera di “maieutica” nella quale si evidenziava il fatto che “ogni numero deve avere un suo segno” qualcuno arrivava a dire “beh, sicuramente è un numero preso positivo”. Meglio questo che niente … anche se il concetto è banale: “è il numero stesso se questo è positivo, è il suo opposto se questo è negativo”. La corretta nozione di valore assoluto rende così semplice l’approccio operativo nelle questioni algebriche dove intervengono anche complessi annidamenti di termini in valore assoluto. Ieri, dopo una verifica di Matematica e di Scienze di terza media, mi trovo ad aprire i libri di testo di mio figlio (avevo capito che qualche difficoltà su concetti elementari c’era”) e leggo: “Il valore assoluto di un numero è la parte numerica privata del segno”. Se ogni numero ha un suo segno allora anche la persona più negata per la Matematica converrà che la definizione del libro di testo è illogica e foriera di “confusioni” nella testa di un tredicenne. Il dato preoccupante è che queste confusioni si ripercuotevano sistematicamente a 16 anni in terza Liceo Scientifico! Neppure la Matematica del primo biennio era riuscita a “precisare” un concetto semplice attraverso la via più lineare. Ma … stimolato dalla curiosità dai ben tre testi di Matematica e quattro di Osservazioni Scientifiche do un’occhiata all’introduzione alla geometria nel piano dove vedo definiti punto, retta e piano (che sono concetti primitivi per cui non si lasciano “definire”). Si può comprendere  l’esigenza di concretizzare concetti “astratti” ma che cosa può dire a un adolescente il fatidico “ente geometrico senza dimensioni”? Non è già difficile la parola “ente”?  E poi sulle “dimensioni” un tredicenne può avere il pensiero ingenuo (ma critico): “ma come fa la successione di punti che forma un segmento ad avere poi una lunghezza?”. Tralasciando altre amenità veniamo alle “Osservazioni Scientifiche” dove viene introdotta la cinematica e la dinamica. Sorprendente l’uso disinvolto di termini “spostamento” e “spazio” (nel senso di tratto percorso) senza che sia accennato alle grandezze scalari e quelle vettoriali. Anche qui si tenta di introdurre i termini “forza” e “massa” che sono i concetti più delicati di tutta la Fisica. Meglio evitare di scrivere su un libro di testo destinato  a un tredicenne che la “massa è la quantità di sostanza” (vecchia definizione data da I. Newton) perché presupporrebbe il concetto di “densità” (rapporto tra massa e volume). Il termine stesso “sostanza” è usato in modo vago e non operativo. Non sarebbe meglio esemplificare “forza” e “massa” attraverso esperimenti qualitativi che mostrano che a parità di forza un corpo accelera diversamente da un altro? No, questo non è assolutamente proposto, però il libro di testo dedica ben due pagine al Big Bang, al “red shift”, all’universo in espansione concludendo di disegnare delle stelline su un palloncino, di gonfiarlo, così da avere un’idea di universo in espansione. Dopo un po’ di anni dedicati ai temi della “Didattica” mi chiedo se è meglio una sana ignoranza basata sull’osservazione attenta della fenomenologia (cosa concludiamo facendo cadere due sassi diversi?) o una dotta ignoranza basata su concetti fuorvianti che restano radicati fino al Liceo. Ieri mio figlio ha accettato con molta fatica (e una certa sofferenza interiore) la definizione critica di “valore assoluto di un numero” perché suo padre cantava fuori dal coro del “Libro di Testo” e quindi da quanto conclamato (di conseguenza) nella spiegazione in classe. E’ come se si fosse trovato improvvisamente con un occhio aperto in un mondo che è abituato a tenere chiusi gli occhi.Da qui uno scrupolo di coscienza irrazionale: “avrò fatto bene”?