Sassano: allegramente verso le elezioni (3^ puntata)
Una storia che ha dell’incredibile, ma che è significativa del grado di sensibilità ambientale posseduto dalla compagine amministrativa “unica” che regge le sorti del paese da cinque anni (e forse più) e che ora si prepara ad una nuova campagna elettorale mettendo in campo due “campioni” del consenso “unico”, uno il sindaco, uno il suo vice nelle legislature 1996-2000 e 2000-2005. Era il 2003, quando venne dato l’annuncio di una sconcertante scelta amministrativa a Sassano: una zona di pregio ambientale doveva essere sacrificata sull’altare del falso progresso, fatto di cemento e capannoni. Dopo un lungo e tortuoso iter amministrativo la Giunta Comunale approvava nel maggio del 2003 un progetto di insediamento industriale secondo un piano regolatore del 1984, che andava rivisto alla luce di una nuova sensibilità sociale nei confronti dei temi ambientali. La minoranza, poi confluita allegramente nell’amministrazione “unica” nel 2005, dava una mano per tutto questo iter. La Giunta Comunale, tuttavia, dava il via libera ai lavori solo dopo quattro mesi da una delibera della Comunità Montana, che individuava quella zona come un boschetto (o bosco) paleo-palustre da preservare, testimonianza viva di quella che fu la natura paludosa della vallata prima della bonifica del territorio. Il progetto tecnico dell’insediamento industriale non riportava, a quanto è dato sapere, uno studio di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Come dire, faccio un intervento invasivo su di un punto dove è delicatissimo l’equilibrio dell’ecosistema locale e non effettuo nemmeno degli studi che possano scongiurare (o almeno minimizzare) i danni ambientali prodotti da un insediamento produttivo. Si vuole qui specificare che l’Assessore all’Ambiente dell’Amministrazione comunale di Sassano era all’epoca in quota Verdi (ma in questa fase convulsa di transizione politica non si sa dove egli si collochi). Non si trova una riga di intervento di questo solerte amministratore a favore del sito di pregio ambientale. Al contrario, egli asserisce, in un suo intervento sulla stampa, che bisogna costruire l’insediamento produttivo per creare occupazione. Ora, a rigor di logica, in un territorio a vocazione agricola e turistica si distruggono potenziali posti di lavoro se si dà l’assalto alla vallata e, in particolar modo, se si cancella, con una inopinata delibera, un sito di pregio ambientale, che una precedente delibera (febbraio 2003) di un ente sovra-comunale avrebbe voluto tutelare, a seguito di un dettagliato studio che ha portato alla definizione di una “carta di destinazione d’uso del territorio” per il nostro Vallo. Sembra quasi che il tempo sia trascorso inutilmente in questo ridente paesino ai piedi del Monte Cervati, poiché dal 1984 nessuna nuova sensibilità si è aggiunta alla pervicace intenzione di voler sacrificare, si immagina anche per poter incamerare i finanziamenti pubblici concessi per la costruzione delle aree produttive, una testimonianza dell’ambiente umido originario di questo grande anfiteatro naturale: il Vallo di Diano. Qualcuno sospetta addirittura di una compravendita di terreni agricoli della zona avvenuta prima del 2003. Ma questo è il fisiologico divenire dei fatti amministrativi, si dice in giro. Per quanto riguarda i finanziamenti pubblici essi hanno permesso, anni or sono, di costruire, in S. Pietro al Tanagro, una zona industriale infrastrutturata tuttora pressoché priva di insediamenti; gli stessi finanziamenti che permettono, di anno in anno, di completare il sacco della vallata, portato avanti con ostinata determinazione da vari soggetti; gli stessi, infine, che permettono di occupare l’areale della cicogna, altro sito di pregio ambientale, ormai devastato da una zona industriale ancora, rigorosamente, priva di insediamenti. E vi chiedete a che possano servire queste zone industriali a pochi chilometri una dall’altra? Forse a dare testimonianza che si può dare il proprio nome ad una struttura, magari intascando anche lauti finanziamenti pubblici, per poi abbandonare la struttura stessa al suo proprio destino, mentre il nome impresso su di essa rimane a futura memoria. Quanti di questi esempi conoscete nella vallata, deturpata da giganteschi capannoni? Quanta occupazione hanno creato queste zone industriali fantasma? Quale contributo alla futura necessità di cibo potranno dare queste terre martoriate dal cemento?
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Questi fatti costituiscono la rappresentazione plastica della nostra realtà, fatta di trovate furbesche e di improvvisazioni amministrative, di osservatori del paesaggio, che sono finanziati lautamente dai soldi pubblici e che, come dice il nome stesso, stanno solo a guardare. Tutto questo mentre solo pochi fessi, che alla fine vengono anche odiati e messi all’indice proprio da chi osservando si ingrassa, si impegnano fino in fondo nelle cose in cui credono. E questo perché in ogni piccola comunità è ancora possibile scorgere l’anima di Peppino Impastato che continua la sua lotta contro il potente “Tano Seduto” del posto. Questa realtà locale, tuttavia, non tarderà a propagarsi a macchia d’olio nella vallata, se non si cercherà di capire, con i mezzi opportuni, non a disposizione di un singolo cittadino di nome Peppino o di un comitato o di una associazione, che cosa sta succedendo in questo territorio, dove è a rischio l’ambiente e non solo. Il fatto stesso che si conceda un permesso a costruire nel mezzo del nulla, come testimoniato dalla foto accanto, ci dice che bisogna fare presto. In merito a questa vicenda, la nostra associazione, il CODACONS, scopre che, per effetto di una sentenza del Tribunale di Sala Consilina (n. 254/08), un tecnico comunale viene condannato in primo grado ad un anno e due mesi di reclusione ed all’interdizione temporanea dai pubblici uffici perché “confezionava un parere tecnico-istruttorio datato 2-2-2004 nel quale attestava la conformità del progetto suddescritto alle norme di attuazione del PRG [Piano Regolatore Generale, n.d.r.], così facendo falsamente risultare l’accorpamento proposto ai fini dell’edificabilità … “. L’ingegnere redattore del progetto e il committente vengono condannati, sempre in primo grado, ad undici mesi di reclusione. Sul manufatto incombe un’ordinanza di abbattimento del giudice, ma la struttura è ancora integra. La scoperta avviene quasi per caso, perché l’associazione stava seguendo la questione del vicino boschetto paleo-palustre. Siamo stati additati come “responsabili” della denuncia che ha portato alle condanne. Purtroppo, dobbiamo dire che questo merito non è da ascrivere alla nostra associazione. Tuttavia, chiunque sia stato a denunciare il fatto, è bene dire che i reati devono essere imputati a chi li compie, non a chi li denuncia. È questo il clima che si respira in questo paese. E così, invece di perseguire l’illegalità diffusa, si preferisce aggredire un probabile denunciante. Queste vicende, allora, costituiscono il paradigma, secondo il mio parere, di un modello non proprio positivo di società. Il “sistema”, come qualcuno potrebbe definire questo assetto sociale, imbriglia nelle sue strette maglie le buone intenzioni di chiunque volesse fare chiarezza sulle non limpide vicende e, alla lunga, la vince sull’onestà e sulla richiesta di trasparenza che promana da una collettività ormai allo stremo, alla fine rassegnata, perché vessata da decenni dai mille tentativi di sopraffazione da parte del “Tano Seduto” di turno. Non vorremmo, però, che si pensasse che sia solo il nostro territorio a costituire il grande pantano dell’ingiustizia. In questo siamo in buona compagnia. Infatti, basta solo considerare quanto pubblicato da La Repubblica di Napoli il 27 dicembre 2008 a pag. I e V. In questo articolo si riporta la vicenda di un onesto cittadino e della sua famiglia, praticamente mandata in rovina dalla corruzione assurta a sistema nella nostra regione. Il coraggio del padre di questa famiglia, il quale inizia col fare il proprio nome, quello della moglie e poi dei suoi tre figli, vien fuori quando tira in ballo, nella sua vicenda, addirittura la Curia di Napoli che, secondo questo racconto, avrebbe contribuito a costruire un parco di immobili abusivi. Una storia che vorrei tutti leggessero. Una storia di questi tempi, ma antica quanto il mondo, in cui si racconta come il più furbo cerca sempre di imbrogliare la persona con scarsi mezzi culturali. E quando in queste tristi vicende sono implicati nomi eccellenti o enti morali e religiosi, anche se il tutto potrebbe essere avvenuto all’insaputa dei reggenti, il disgusto si tramuta in ribellione profonda. La storia del boschetto è però significativa in sé, per quello che essa rappresenta e per quello che mette in luce: una società ferma all’epoca medievale, nella quale pochi vassalli hanno nelle loro mani il futuro della gente, per lo più lasciata, colpevolmente, in uno stato di inconsapevolezza quasi completo anche da alcuni mezzi di informazione, che, per non far torto al potente del momento, ci impediscono, a volte, di raccontare questi semplici fatti. Per i mezzi di informazione locale non esiste, infatti, né la struttura, né la sentenza, né l’ordine di abbattimento vicino al boschetto a Sassano e, quando ogni anno arrivano le cicogne a nidificare a Teggiano in quello che doveva essere il loro areale, nessuno dice che proprio sotto il loro nido vi è una zona industriale fantasma. Così, allegramente, si andrà al rinnovo del Consiglio Comunale proponendo due campioni del consenso “unico”, attori incontrastati, negli ultimi anni, del destino di questa amministrazione comunale; allegramente e senza chiedersi per via di quale clima socio-culturale siano stati ingenerati questi comportamenti, diametralmente opposti a quelli che una rigida osservanza delle regole imporrebbe. Ma, si sa, come avviene anche in Italia e come oggi riportato in molti editoriali, in questo frangente si preferisce guardare al presente per il presente e, se necessario, annullare anche le regole, per sopravvivere alla bufera socio-economica che incombe sulle nostre teste. Ci permettiamo qui solo di scrivere un canto al capannone abbandonato, che a volte mette in bella mostra il nome del benefattore di turno, nella speranza che qualcosa possa un giorno cambiare.
ODE AL CAPANNO(NE) ABBANDONATO
A te che pur solingo i giorni meni
sul lato della strada abbandonato;
a te che tempi bui e meno ameni
or temi e non vorresti mai esser nato;
a te che a sera penso quando trovo
albergo nella mia calda dimora,
avendo attraversato il lungo covo
della vallata che l’avar divora.
Se tu sapessi quanto affanno e quanto
alte le grida alla tua triste sorte
levai al vento come incauto canto,
allor potresti giudicare il danno
di chi distrugge la vetusta corte
fiero del nome, o fetido capanno.
Io so – diceva Pasolini – ma non posso provarlo.
Ebbene si il “si dice” relativo alla compravendita e concentrazione della proprietà dei suoli, successivamente destinati ad area di insediamento produttivo,nelle mani di qualcuno ben conosciuto non sia solo una fantasiosa leggenda paesana ma riferito a fatti concreti. I suoli erano agricoli quando sono stati acquistati dai precedenti propietari da “persone ben informate” e destinati ad area idustriale poco dopo l’acquisto. Il loro valore ovviamente si moltiplica; che c… direbbe qualcuno. Possiamo chiamarla lungimiranza imprenditoriale o, vista da altre prospettive solo speculazione avvenuta attraverso connivenze e strategie facilmente identificabili che con lo sviluppo del territorio e la valorizzazione delle attività imprenditoriali esistenti poco hanno a che fare.L’area ad oggi non offre nessun servizio o infrastruttura appetita alle aziende. Ognuno creda a ciò che meglio gli conviene, fatto stà che da queste parti non si muove foglia che il “Tano seduto” di turno non voglia e sulla quale non abbia il pieno controllo. Ma al “popolo elettore” di tutto ciò importa poco… Hanno sempre il loro “papi” a cui chiedere il favore e guai a tentare di toglierglielo… Dopo da chi andrebbero? Peccato, che così facendo hanno semplicemente deciso di ipotecare il futuro dei figli e lo sviluppo di una parte di questo territorio.
Grazie, Nicola, del commento. Relativamente alla questione della compravendita, è vero, qui anche le pietre sanno cosa è accaduto. Addirittura il Corriere del Mezzogiorno ha pubblicato un articolo abbastanza esplicito sulla questione. Ma qui non si muove foglia e i Peppino Impastato, prima o poi, salteranno in aria. Li vedremo a brandelli e ne raccoglieremo i resti per portarli ai servitori dello Stato fedeli (pochi in questa stagione!). La gente comune sa che bisogna stare alla larga da questi rivoluzionari “perdenti”.
La giustizia, caro Nicola, semmai arriverà in questo pantano, giungerà postuma per il “Tano Seduto” di turno. Nel mentre, lo stesso si sarà ingrassato all’inverosimile, avrà saputo cospargere il territorio di capannoni abusivi e avrà definitivamente corrotto le coscienze degli uomini. Anche di quelli che ritenevamo incorruttibili.