Terzo millennio globale
Giuseppe Lembo
L’inizio del Terzo Millennio, un tempo globalmente nuovo, proprio non giova all’Italia ed agli italiani che hanno tristemente di fronte la crescente e diffusa cancellazione della propria identità, con i tanti che se ne vanno per non morire d’Italia ed i tanti stranieri, ultimi della Terra, che per sfuggire ad un Futuro di disperazione e di morte, se ne vengono da Noi, sperando in un mondo nuovo, purtroppo tristemente, negato a tutti sul suolo italiano.
Non è per catastrofismo il vedere nero nel Futuro del sistema Italia, con la sua capacità produttiva sempre più dalle porte chiuse sul suolo italiano.
Oltre alla dismissione e delocalizzazione c’è il trasferimento aziendale ad imprenditori stranieri, attratti da un sistema produttivo in crisi, per fare gli affari loro, magari delocalizzandolo dopo avere usufruito di benefici incentivanti possibili che non ne risolvono alla radice il problema, ma rappresentano solo provvedimenti tampone di breve durata.
Dov’è il male italiano? Non certamente nella capacità produttiva che ancora è in sé un fattore di eccellenza italiana.
Le pesanti sofferenze italiane che sono alla base del crescente fenomeno di dismissione e/o di delocalizzazione, sono soprattutto nella fiscalità e nel costo del lavoro, assolutamente poco competitivo in una produzione che per i suoi costi, diventa poco produttiva sui mercati, dove c’è una corsa ai prezzi bassi, con indifferenza per il rapporto qualità/prezzo.
Il male interno all’industria italiana è soprattutto quello di non essere capace di costruirsi una sua mobilità di Futuro.
Nonostante le sue sofferenze comuni e diffuse, nel 2017 l’industria italiana è cresciuta del 3%; un vero e proprio record storico. Ma la politica italiana facendo un grave male al Paese, dall’economia sempre più debole, manifesta sempre e comunque, una certa indifferenza; è, infatti, sempre più ignorata dai programmi dei partiti, in tutte altre faccende affaccendati.
Sono solo due i politici italiani che se ne sono attivamente occupati. Trattasi di Carlo Calenda ed Antonio Taiani. Siamo ormai, all’Italia Paese, della fantapolitica industriale.
Purtroppo, le aziende italiane, sempre più sfiduciate negli ultimi 20 anni hanno smesso di investire, creando un disagio diffuso e crescente all’intero sistema che, tra luci ed ombre, è in una condizione incerta e dal Futuro tristemente negato.
Con la diffusa saggezza italiana, soprattutto nel mondo dei magnati dell’industria italiana che, si lasciano “ sempre più mangiare” dai tanti pescecani che hanno alla base dei loro affari comunque, l’etica comune del “mors tua, vita mea”, bisogna ridare fiato al fare, operando saggiamente per il proprio bene e, soprattutto, per il comune bene italiano, una risorsa di tutti, dico di tutti gli italiani, che, purtroppo, vivono la condizione triste e dal Futuro negato, di sedotti ed abbandonati.
Sono in tanti, ma proprio tanti che, si adoperano senza scrupoli a fare male all’Italia ed agli italiani, attivando, tra l’altro, anche forme diffuse di concorrenza illecita.
Occorrono e da subito risposte sagge e concrete; tanto, a partire da nuovi processi di innovazione sociale, con percorsi produttivi da vera e propria sfida per il Futuro, arricchendo i territori impoveriti ed in grave crisi di Futuro, mancando quel mutualismo e quella partecipazione, saggiamente parte di Noi, soprattutto sui territori emiliani che, oggi soffrono come il resto d’Italia di nuove e crescenti fragilità sociali che ne minano le potenzialità di sviluppo possibile e quindi di Futuro.
L’Italia in sé non è assolutamente un territorio povero; è, piuttosto, un territorio impoverito da errori umani che, con l’economia hanno fatto fermare anche l’inclusione sociale che viene prima di tutto nelle logiche di un’economia per la gente e non contro la gente che, indifferente all’Uomo, assolutamente non centrale ai processi, si occupa e preoccupa unicamente dell’”obiettivo prodotto” che, da catalizzatore, finalizza i processi al solo successo nazionale ed internazionale.
Tanto fa parte integrante di un sistema industriale che, soprattutto e prima di tutto questo è e non si permette assolutamente il lusso di perdere colpi, evitando, così facendo, di rimanere indietro e/o di essere travolto da crisi che non risparmiano niente e nessuno, se non si fa tutto quanto richiesto dalla modernità delle produzioni industriali sempre più globali.