Alfabeto Speciale: T…come TORNARE
Padre Oliviero Ferro
“Wakati gani utakaporudia mu Africa? (quando ritornerai In Africa)?” e io rispondevo a questa domanda: “Mungu tu anajua (solo Dio lo sa)”. Certo mi sarebbe piaciuto saperlo, ma le vie del Signore, i Suoi programmi sono sconosciuti. Quando meno te l’aspetti, ti arrivano delle sorprese. Ogni volta che un missionario va in vacanza, dopo alcuni anni vissuti in missione, la domanda è sempre quella. Forse perché la gente ti si è affezionata, forse perché anche tu hai cominciato a sentirti a casa tua, forse perché hai preso “il mal d’Africa”. Una malattia difficile da guarire, se non ritornando laggiù. Quando ti sentono parlare o leggono quello che scrivi, viene spontaneo farti questa domanda “Cosa aspetti a tornare?”.
La risposta è sempre quella: “Ci tornerei a piedi, anche se è a seimila chilometri di distanza”. Poi ti devi rassegnare a fare quello che i tuoi capi di chiedono, però tu continui a sognare il giorno del ritorno nella “terra promessa”. Mi ricordo, quando la prima volta ho lasciato l’Africa (ci ero rimasto per 5 anni) e avevo dovuto rientrare in fretta perché ammalato, mi chiedevo se sarei ritornato. Poi, per fortuna, tutto è andato bene. Sono guarito, ho approfittato del tempo delle vacanze per parlare a tutti di quello che avevo vissuto e così dopo qualche mese sono ripartito.
La seconda volta è tutta diversa. Non c’è più la sorpresa, l’emozione di scoprire un posto nuovo, di come muoversi. Sai già che vai a casa tua, dove troverai degli amici e quindi ti senti un po’ preparato. E’ vero non bastano cinque anni per conoscere l’Africa, però se ci metti un po’ di cuore, tutto può diventare più facile. Naturalmente devi essere pronto ad accettare le critiche, i consigli, a ricominciare quando sbagli, a capire che sei arrivato in un mondo diverso dal tuo. Devi capire che ci sono delle persone che hanno un modo di ragionare e di vivere che ti obbligano ad andare piano piano. Anche se hai i tuoi progetti, li devi realizzare insieme a loro e con i loro ritmi, tenendo presenti tutte le difficoltà, comprese le ingiustizie e i sogni infranti da chi li dovrebbe aiutare. Poi, se dopo tutto questo, ti senti ancora bene tra di loro, allora continui e accetti gli imprevisti giornalieri.
Magari quando con il fuoristrada ti infanghi nella strada dopo la pioggia, oppure devi affrontare una tempesta sul lago. Quando la signora MALARIA ti butta a terra per alcuni giorni e devi startene fermo, sudando e mangiando poco a niente. Almeno tu riesci a procurarti le medicine. Loro spesso hanno difficoltà a pagarsi tutto il trattamento. Quando poi, parlando nella loro lingua, ti sbagli nel dire qualche parola e loro si mettono a ridere. Allora, in tutta umiltà, accetti le correzioni e ti rimetti a studiare. E l’elenco sarebbe lungo. A ogni ritorno in Africa, magari cambiando Stato, come è successo a me (dal Congo RDC al Camerun, dopo 11 anni trascorsi in Italia), ti dicono: ”Guarda che le cose sono diverse da quelle che hai letto sui giornali o ti hanno raccontato.
Qui sei al servizio della gente. Non comandi, ma servi”. E allora, devi accettare tutto volentieri e scopri una nuova dimensione della missione che è quella vera, della condivisione, dell’accorgerti dei talenti, delle qualità che hanno le persone, soprattutto quelle più semplici. Devi saperti rimettere in gioco ogni volta, senza scoraggiarti, senza dire che allora quello che ho imparato non serve più. No, è stata la base, ma ora ci devi aggiungere cose nuove che la gente ti insegna. E’ una scoperta giornaliera. E’ un tornare e un ri-tornare che fa bene, ti mantiene giovane e, perché no, qualche volta ti fa anche sorridere e ti fa dire “ma guarda un po’ come è interessante la vita!”.