Mercato San Severino: presepe nella chiesa di San Giovanni

Anna Maria Noia

Tra pochi giorni ricorrerà la presentazione di nostro Signore Gesù Cristo al tempio, dopo quaranta giorni di “impurità” di Maria. È la Candelora, tradizione pagana che riprende l’offerta della Madonna e di S. Giuseppe ai sacerdoti (il vecchio Simeone e Anna) – consistente nelle candele, oppure in due tortore (l’alternativa). Un momento che non va confuso con il tradizionale rito (sia religioso che civile, presso gli antichi Ebrei) della circoncisione. Avvenuta otto giorni dopo la nascita di Cristo. Il 2 febbraio è, in genere, la data in cui si considerano definitivamente concluse le festività natalizie – già terminate con l’Epifania, il 6 gennaio. È tempo di riporre gli allestimenti presepiali, almeno quelli presenti in chiese e luoghi pubblici. A S. Severino è ancora possibile visitare il presepe, realizzato nell’apposito spazio, della chiesa di S. Giovanni: un manufatto cui ha lavorato – alacremente – la docente sanseverinese Elena Pironti. È una professionista, con un importante curriculum in campo musicale e non solo, del territorio; frequenta la realtà parrocchiale diretta da don Peppino Iannone – appunto il parroco di S. Giovanni. Ogni anno, come anche in altre chiese del comprensorio, il presepe cambia tema e scenari; stavolta la Pironti ha ambientato la scenografia della Natività nel paesaggio rurale della cittadina di Valencia. Al tempo del ‘600. Questo, in quanto nel 2019 ricorre il sesto centenario del transito (avvenuto a Vannes nel 1419) del grande taumaturgo S. Vincenzo Ferrer (o Ferreri). Vissuto nel periodo della cattività avignonese, in “contrapposizione” (se così possiamo affermare) – almeno in un primo momento – a S. Caterina da Siena e conosciuto quale “angelo dell’Apocalisse”. Per l’oratoria eloquente e fluente, per il tono autorevole. È rappresentato, inoltre, con due ali d’angelo e con la fiamma dello Spirito Santo in capo. In vista del seicentenario, da aprile 2018 a metà 2019, è possibile lucrare anche la cosiddetta indulgenza plenaria – pregando secondo le intenzioni del santo pontefice. L’indulgenza vincenziana, al pari della perdonanza de L’Aquila e del perdono di Assisi, è applicabile ai defunti. La cura nei particolari e l’utilizzo di precisi canoni artistici e simbolici fanno sì che il presepe di S. Giovanni – senza nulla togliere a quelli delle altre realtà ecclesiali sanseverinesi, pure bellissimi (ne è un esempio il manufatto di S. Antonio, ma anche i presepi viventi di Spiano, Costa e soprattutto Pandola sono incantevoli e bene organizzati) – sia osservabile e “studiabile” per i significati agiografici, metaforici e simbolici che veicola. Minuziosamente. La responsabile, col beneplacito di don Peppino, per allestire alcune abitazioni si è ispirata al modello di un’altra abitazione (una cucina) valenciana del XVIII secolo. Questo locale è riprodotto in un’immagine in mostra al museo nazionale di Arti Decorative a Madrid. Si tratta di un ambiente decorato dalle famose azulejos – particolari ceramiche o mattonelle azzurre, in puro stile barocco valenciano – situato, nella ricostruzione dello scenario, accanto a edifici in stile spagnolo (ad esempio, la casa col portico). C’è stato anche lo spazio per una piccola chiesa/cappella, detta “ermita” (in lingua spagnola); essa è dedicata proprio al santo. Nell’elaborazione, si è tenuto conto dei materiali più “poveri”, “ecologici”, di riciclo. Come il sughero, che permea – infatti – la chiesetta. Che poi, terminato tutto, risulta abbellita dalle già citate azulejos e da decorazioni varie – con puttini (in resina); a circondare le colonne e le due vetrate. Una di queste vetrate (ideale sfondo alla Natività) è istoriata da una stampa ritraente S. Vincenzo Ferreri. Tutto tratto da un polittico, a cura di Vicente Macip – un noto artista valenciano del ‘500. L’icona è custodita nella cattedrale spagnola di Segorbe. L’altra vetrata, invece, riporta la morte di S. Vincenzo – tema del Giubileo Vincenziano (così si definisce l’anno giubilare 2018-2019). Questa immagine è ispirata a un’opera del pittore Miguel Del Prado (1520), conservata nel museo delle Belle Arti S. Pio V – Valencia. Le statuette dei pastori (alcuni sono restaurati) presentano costumi cuciti a mano, nello stile valenciano della metà del ‘600. Popolani, nobili e danzatori; sì – danzatori: in Spagna è uso esibirsi in variopinte danze folkloristiche (anche il tanto conosciuto flamenco), persino nel corso di solenni ricorrenze riguardanti il Signore, la Madonna e i santi. Un costume che evidenzia il senso religioso festoso ed evidente, tipico dell’allegro ma anche dolente popolo spagnolo. In particolare, la figura di S. Giuseppe reca addosso la consueta e tradizionale “manta” (o “mantilla”) spagnola, con le frange. La Madonna, invece, indossa un abito (anche) con motivi floreali – l’antico vestimento della Madonna del Rosario, restaurato nel 2012. Tutto riportato “a misura” della figurina. Sempre la vergine Maria veste un particolare ricamo in oro antico, raffigurante (tra l’altro) la simbolica stella a otto punte – stigma dell’Ordine Domenicano, al quale apparteneva Vincenzo. Tra le varie scene, dinanzi la chiesa sopra descritta, c’è l’allegoria della Carità; essa costituisce il perno della predicazione e dell’esistenza del taumaturgo, ed è la virtù teologale (assieme a Fede e Speranza) che più riassume il comandamento dell’amore lasciatoci da Cristo. La scena inquadra due ragazzi di nobili origini, che donano al padre e al figlio poveri rispettivamente una sciarpa nuova, del pane e il giocattolo del cavallo a dondolo. Elena Pironti è stata validamente aiutata e supportata, nel certosino lavoro di molte ore (al mattino e alla sera), da alcuni validi volontari/collaboratori che lei ringrazia per l’apporto prezioso che hanno dato: tra tutti questi, ricordiamo – in particolare, senza voler dimenticare nessuno né sminuire alcuno – Beppe Iannone, che ogni anno costruisce l’intelaiatura in legno che fa da scheletro all’intera struttura; Maria Salito, che ha reperito il costoso sughero a tegole per il presepio; Mariella (un’altra responsabile molto attiva) – che si è resa disponibile ad accompagnare con l’auto la Pironti, per le spese “presepiali” e per trasportare le case. Più molti altri. Soddisfatto don Peppino Iannone, il quale tiene molto alla propria comunità di fedeli. Elena Pironti ha effettuato gli studi musicali (anche) al conservatorio “Giuseppe Martucci” di Salerno: il compimento inferiore del terzo anno e il compimento superiore del quinto anno – 9/10 – per il Canto Lirico (voce: mezzosoprano); tra i tantissimi esami sostenuti, Teoria Musicale e Solfeggio. Ha seguito con profitto anche il corso biennale di Storia della Musica – dall’Alto Medioevo al Novecento. Nella sua lunga “carriera” (di studi), si è perfezionata a Napoli. Quindi ha sostenuto, tra molto altro, gli esami (9/10) di Arte Scenica – al “Martucci”. Con i maestri dei teatri dell’Opera di Roma e del “S. Carlo” di Napoli. Molteplici altri corsi sono stati da lei seguiti: quello di Letteratura Poetica e Drammatica – per esempio – è tra questi. Infine, ricordiamo la tesi conclusiva del cursus honorum: “William Shakespeare nelle opere di Giuseppe Verdi”.