Milano: coronavirus, infettivologi SITA “No allarmismi, meno pericoloso di SARS e MERS”
Gli ultimi dati comunicati questa mattina dalla Commissione Sanitaria Nazionale cinese parlano di circa 6.000 casi accertati e 132 decessi: i numeri del nuovo coronavirus 2019 n-CoV destano preoccupazione nell’opinione pubblica, ma vanno letti e analizzati con attenzione. Per capire quanto sia aggressivo questo nuovo virus è necessario mettere i dati a confronto con quelli di altri due coronavirus che hanno causato epidemie diffuse nel recente passato: quello della SARS del 2003 e quello della sindrome respiratoria mediorientale (MERS) tra il 2013 e il 2019. La SARS ha provocato 813 decessi su 8.400 casi, con una mortalità quindi del 10% circa, mentre la MERS ha colpito 2.500 persone causando 858 decessi, con un indice di letalità del 30%. Stando ai numeri attuali – che vanno comunque considerati con la dovuta cautela perché al momento l’unica fonte di informazione sono i media e le istituzioni cinesi – il tasso di mortalità del coronavirus 2019 n-CoV si attesterebbe poco sopra al 2%.
«Stiamo assistendo a numeri limitati, con sporadici casi di trasmissione interumana al di fuori della Cina, soprattutto se li paragoniamo all’epidemia di un qualsiasi virus influenzale nel nostro Paese, con milioni di casi da dicembre ad oggi – dichiara Matteo Bassetti, Professore ordinario di Malattie Infettive e Direttore della Clinica Malattie Infettive, Ospedale San Martino di Genova, Presidente della SITA – oppure se consideriamo l’impatto delle polmoniti che curiamo nei nostri ospedali. È opportuno ricordare che la polmonite batterica, prima causa di morte per malattie infettive nei Paesi occidentali, provoca ogni anno 11.000 decessi solo in Italia e che nel nostro Paese ogni anno circa 5.000 persone muoiono a causa di complicanze respiratorie da influenza».
Il nuovo coronavirus, identificato a fine dicembre nella città di Wuhan, sarebbe stato trasmesso in una prima fase da animale a uomo e poi da uomo a uomo attraverso la saliva, amplificando il rischio di contagio in spazi ristretti. L’Università di Pechino ha individuato dapprima nei serpenti, poi nel pipistrello e/o nel visone il veicolo di trasmissione. I sintomi più frequentemente riportati sono stati febbre alta, affaticamento, tosse secca e difficoltà respiratorie con un range clinico-sintomatologico molto variabile, che va da quadri abbastanza blandi a casi di gravi polmoniti, che hanno necessitato di assistenza rianimatoria. Il tempo di incubazione è di 14 giorni.
In Italia sono state adottate tutte le procedure sanitarie di contenimento e di gestione: il nostro Paese è perfettamente attrezzato con reparti di malattie infettive di altissimo livello, dotati di stanze a pressione negativa dove, qualora necessario, si possono ricoverare in isolamento i pazienti con coronavirus. I nostri laboratori di virologia e microbiologia, inoltre, sono già attrezzati per poter effettuare lo screening e capire rapidamente se una persona è stata contagiata.
«Il sistema sanitario per la gestione delle malattie infettive è pronto, rodato e maturo – spiega Matteo Bassetti – il messaggio per la popolazione è quello di stare tranquilli perché al momento non esiste alcun motivo per agitarsi. La situazione va vigilata attentamente ed è bene tenere alta la guardia sugli eventuali casi sospetti provenienti dalle aree epidemiche, ma non bisogna creare allarmismi. Non andare più al ristorante cinese per la paura infondata che questo virus si trasmetta attraverso il cibo o rinunciare a un viaggio in un luogo non considerato a rischio sono comportamenti a mio parere eccessivi. Il rischio vero è quello di dare troppa enfasi a qualcosa che in realtà è molto lontano da noi e poco o per nulla pericoloso, sottovalutando problemi veri e tangibili come l’epidemia influenzale, che non è ancora del tutto passata e rappresenta, questa sì, un vero pericolo per le categorie a rischio».