La Voce e la Vita della Chiesa: il Venerdì Santo

Diacono Francesco Giglio

“Ecco il vessillo della croce, mistero di morte e di gloria:

l’artefice di tutto il creato è appeso ad un patibolo.”

Il Venerdì Santo, giorno in cui si ricorda la crocifissione, morte e deposizione di Gesù, si svolge una “azione liturgica” e l’adorazione della Croce.

In questo giorno e nel giorno seguente (Sabato Santo), la Chiesa, per antichissima tradizione, non celebra l’Eucaristia. Nelle ore pomeridiane ha luogo la “celebrazione della Passione del Signore”. Si commemorano insieme i due aspetti del mistero della croce: la sofferenza che prepara la gioia di Pasqua, l’umiliazione e la vergogna di Gesù da cui sorge la sua glorificazione. Alla sera del Venerdì Santo si celebra tradizionalmente la “Via Crucis”. Per i Cattolici il Venerdì Santo è giorno di penitenza, digiuno e astinenza. Questo secondo giorno del triduo pasquale, la Chiesa tutta è intenta a riflettere sulla passione e morte di Gesù.

Al mistero grande dell’agonia del Signore, noi popolo di Dio siamo assenti per il Coronavirus che ci costringe ad essere chiusi nelle nostre case. Questa forzata assenza, non solo fa nascere il desiderio di sentirci comunità orante ma anche desiderosi di sentirci in comunione con tutti i nostri fratelli e sorelle che nel privato delle proprie case vivono, pregano e seguono i sacri riti, ma che conservano nel cuore quanto vissuto fino all’anno scorso.

La celebrazione di questo giorno inizia nel silenzio, senza riti di introduzione, e termina senza benedizione e senza congedo, sempre nel silenzio. Non vi è Antifona d’inizio; la solenne azione liturgica comincia con la preghiera silenziosa, in ginocchio, di tutta l’assemblea. Infatti: l’odierna celebrazione ha i suoi albori probabilmente nella celebrazione della Chiesa di Gerusalemme, che era solita rievocare, con particolari riti, la passione di Cristo e ciò nei luoghi dove essa era realmente avvenuta. Questo gesto nato dall’esigenza di rivivere le ultime ore della vita terrena di Gesù, giunta nel cuore dell’impero romano, ha probabilmente dato vita alla formazione di questa liturgia nelle Chiese di Roma. Da sempre questo giorno è stato ritenuto “aliturgico”, cioè privo della celebrazione eucaristica. Dall’Apologia di Giustino, prende corpo il nascente rito che poggia la sua centralità sulla celebrazione della Parola di Dio e, in modo particolare, sulla narrazione della Passione tratta dal Vangelo di Giovanni. Gli Ordines ci offrono uno schema ben preciso: la prostrazione del vescovo con la preghiera silenziosa, una prima lettura seguita dal Tratto, e una seconda lettura, cui seguiva il canto della Passione. Concludevano la celebrazione le Orazioni solenni, che rielaborate, sono presenti nella nostra celebrazione. Esistevano anche altri schemi come quello, oggi adottato dal Messale: dopo la prostrazione viene proclamata la colletta che dà inizio alla Liturgia della Parola. Questa prosegue con le letture e la proclamazione della Passione secondo Giovanni, per concludersi con le solenni orazioni della Preghiera universale.

Oggi la celebrazione del Venerdì non è stata molto cambiata nella struttura celebrativa. E’ stata introdotta la comunione dei fedeli, restituita dalla riforma del 1955, anche se a detta di qualcuno, forse sarebbe stato meglio rimanere nella prassi antica, rappresentata tra l’altro dalle tradizioni orientali o anche da quella ambrosiana. La celebrazione si svolge nel primo pomeriggio. Il sacerdote indossa le vesti rosse, simboleggianti la regalità di Cristo, e ciò dall’inizio della celebrazione. L’ingresso del celebrante, fatto senza nessun canto, prosegue con la prostrazione e la preghiera silenziosa. Successivamente, dall’ambone, viene proclamata una delle collette a scelta, di nuova composizione. Segue la liturgia della Parola. Le letture sono state cambiate, e con ciò è cambiata anche la visione teologica. La prima lettura dal profeta Osea viene sostituita da quella del Servo sofferente di Isaia. Anche la seconda, al posto della lettura dall’Esodo, oggi viene proclamata la lettera agli Ebrei, che vuole significare il sacrificio di Cristo. Il vangelo, per l’antica tradizione, è sempre quello di Giovanni. Si può fare una piccola omelia seguita dalle solenni orazioni che, alcune riviste, e altre cambiate, esprimono meglio la mentalità del nostro tempo. La seconda parte della celebrazione, l’adorazione della Croce, è stata semplificata. Il messale presenta due forme del rito. Per la comunione è stato abolito il Confiteor e l’assoluzione. Viene riportato sull’altare il Santissimo, senza solennità. Durante la comunione si può cantare un canto adatto, ma non più precisato. Alla fine, dalle tre orazioni è stata conservata una sola: Omnipotens sempiterne Deus… cui segue la preghiera super populum. L’assemblea si scioglie in silenzio.

Riassumendo possiamo dire che questa celebrazione generalmente è un buon progetto celebrativo della Passione del Signore: La Liturgia della Parola proclama la passione. Le Invocazioni pregano la passione. La Venerazione della Croce adora la passione, e la Comunione  ci fa comunicare con la passione ed è il culmine del cammino quaresimale.

Ancora una volta, in questo particolare e difficile momento che stiamo attraversando eleviamo al Signore la nostra preghiera e con filiale affetto in unione con Maria, madre dei dolori, in un cuor solo diciamo a conclusione di questo Venerdì Santo: “Ave, o croce, unica speranza, in questo tempo di passione accresci ai fedeli la grazia, ottieni alle genti la pace. Amen.”