Coronavirus: sradicati e senza un volto!
Vincenzo Leonardo Manuli
L’esperienza di questa pandemia di Covid19 ha accentuato una forma di sradicamento, e solo più avanti ci accorgeremo della nascita di qualcosa di nuovo, del quale adesso, come umani, abbiamo paura, non conosciamo quale piega prenderanno relazioni, progetti di vita. Una parola oggi molto ricorrente è mobilità, che potrebbe tradursi anche con liquidità, senza identità, senza nome e senza volto, quasi quasi si vive una vita da apolidi, una forma di nomadismo senza casa, senza terra, senza origini, senza rivendicare un luogo, senza una appartenenza ad una cultura, ad un popolo, ad una etnia, ad una tradizione o ad una religione. Questo tempo, iper connesso, globalizzato, post cristiano, post umano, è alla ricerca di una definizione, in un mondo digitalizzato, dell’homo digitalis, perso nel mare oceanico del web, di internet, dei social, con il “volto rivolto” al suo amico preferito, lo smartphone, senza una coscienza critica o interrogativi che lo aiutino a comprendere tutto quello che scrive e che legge, immerso in una apparente forma di democrazia dove tutti hanno diritto di parola e nessuno ha il dovere di obiettare, dove tutti sono contro tutti, dove il branco che fa sistema dirige e comanda l’argomento di moda o il bersaglio quale capro espiatorio per canalizzare rabbia, violenza e aggressività, in quel malcapitato di turno che presto sarà sostituito da un altro.
Sradicati sono gli adolescenti, sradicati sono i giovani, sradicati sono gli adulti, senza più una memoria, una tradizione, sempre se non trovano un Messia che stimoli quella “memoria del criceto”, per imparare a capire da dove viene e dove verso sta andando.
A che punto siamo?
Questo è un tempo indecifrabile, dove comanda l’avventura, alla novità succede un’altra novità, senza un passato e senza un futuro, in quell’eterno presente, immediato, che va subito consumato, del tutto e subito, altrimenti si rischia la follia, l’esclusione dalla massa che procede verso un precipizio senza che qualcuno possa fermare questa corsa inarrestabile.
Chi è tuo padre? Chi è tua madre? In quale Dio credi? Quale è il tuo progetto? Dove è casa tua? Dove stai andando? Un uomo senza tempo, un anno zero, tutto in decostruzione, dove non c’è né alba e né tramonto, senza attesa e nulla da sperare. Ci voleva anche la pandemia del Covid19 a limitare gli spostamenti, ad evitare gli assembramenti, gli abbracci, a rivalutare le distanze, per rinchiudersi in quel solipsismo dove il silenzio uccide o aiuta a stare con se stessi, e la paura consuma i giorni di un eventuale contagio nell’obbligatoria quarantena.
Forse una parola potrebbe risollevare l’umano, rivedere la sua presenza, la sua vita in questo pianeta pronto a deflagrare, di riattivare quel ricordo vago, che lui è humus, terra, Adam, fango, che Dio quando lo plasmò, soffiò il respiro della vita e “vide che era cosa buona”, dice il testo della Genesi. Occorrerebbe tessere un elogio della fragilità, ricalcolare il percorso dell’umano che va riprogrammato, di fermarsi un attimo e riflettere, con i piedi per terra, perché una pianta, un fiore, un albero, senza radici si rischia di morire; senza una vaso, senza un luogo dove abitare, di lasciarsi bagnare dalla pioggia e scaldarsi dal sole, e irrobustirsi dalle carezze del vento.
Siamo un po’ tutti sradicati, fragili, vulnerabili, depotenziati, scossi, in balia di una tempesta, incatenati dalla paura, barricati in deboli sicurezze e senza certezze, senza attendere profeta o qualsiasi liberatore, alla finestra, insicuri di fronte ad un destino inesorabile.
Sradicati, e forse, gettati in un abbraccio di quel cammino da riprendere per capire dove siamo e chi siamo.